PARROCCHIA S. GIOACCHINO

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VEGLIA DI PREGHIERA in preparazione

all’ ORDINAZIONE DIACONALE

di

MASSIMO CRABOLEDDA

 

10 FEBBRAIO 2012

CANTO - ESPOSIZIONE SANTISSIMO SACRAMENTO

 

 

INTRODUZIONE: Il Signore ama la sua Chiesa avendole assicurato la sua presenza fino alla fine dei tempi. Per questo, l’abbellisce e l’arricchisce di doni e di carismi, distribuendoli ai suoi figli, chiamandoli personalmente a collaborare all’annuncio del Regno.

Questa sera la nostra comunità parrocchiale veglia in gioiosa preghiera, perché la voce del Signore è giunta a Massimo.

Ben consapevole che non insegue onorificenze e gratificazioni personali, ma, riconoscente di tale dono, sa di essere stato pensato ed amato dal Signore, chiamato a corrispondere a questo amore unico da condividere solo nell’amore ai fratelli, privilegiando i poveri, gli umili, i piccoli, cercando l’ultimo posto, nell’umiltà, considerando gli altri superiori a sé, nella fedeltà al servizio, sapendo di essere servo inutile … dopo aver fatto solo ciò che gli è stato comandato di fare.

Preghiamo perché tali sentimenti, che sono i sentimenti di Gesù, accompagnino Massimo per tutta la vita. Imploriamo dalla Beata Vergine di San Luca di poter vivere sempre questi sentimenti nella famiglia, nella chiesa, nel lavoro, in ogni azione della nostra vita. Guardando a Lei seguiamo Gesù Signore che è venuto per servire e non per essere servito.

 

Beato GIOVANNI PAOLO II:  UDIENZA GENERALE del Mercoledì, 6 ottobre 1993

 1. Accanto ai Presbiteri vi è nella Chiesa un’altra categoria di ministri con mansioni e carismi specifici, come ricorda il Concilio di Trento quando tratta del sacramento dell’Ordine: “Nella Chiesa Cattolica vi è una gerarchia, istituita per ordinazione divina, che si compone di Vescovi Presbiteri e Ministri” (Denz. 1776). Già nei libri del Nuovo Testamento è attestata la presenza di ministri, i “Diaconi”, che progressivamente si configurano come categoria distinta dai “Presbiteri”, e dagli “Episcopi”. Basti qui ricordare che Paolo rivolge il suo saluto agli Episcopi e ai Diaconi di Filippi (cf. Fil 1, 1). La prima Lettera a Timoteo enumera le qualità che devono possedere i Diaconi, con la raccomandazione di sottoporli alla prova prima di affidare ad essi le loro funzioni: essi devono avere una condotta degna e onesta, essere fedeli nel matrimonio, educare bene i loro figli e dirigere bene la loro casa, conservare “il mistero della fede in una coscienza pura” (cf. 1 Tm 3, 8-13).

Negli Atti degli Apostoli (At 6, 1-6) si parla di sette “ministri” per il servizio delle mense. Pur non risultando chiaramente dal testo che si trattasse di una ordinazione sacramentale dei Diaconi, una lunga tradizione ha interpretato l’episodio come prima testimonianza dell’istituzione diaconale. Alla fine del I secolo o all’inizio del II il posto del Diacono è ormai ben stabilito, almeno in alcune Chiese, come grado della gerarchia ministeriale.

2. In particolare, è importante la testimonianza di sant’Ignazio di Antiochia, secondo il quale la comunità cristiana vive sotto l’autorità di un Vescovo, circondato da Presbiteri e da Diaconi: “Vi è una sola Eucaristia, una sola carne del Signore, un solo calice, un solo altare, come vi è anche un solo Vescovo con il collegio dei Presbiteri e i Diaconi, compagni di servizio” (Ad Philad., 4,1). Nelle lettere di Ignazio i Diaconi sono sempre citati come grado inferiore nella gerarchia ministeriale: un Diacono è lodato per il fatto “di essere sottomesso al Vescovo come alla grazia di Dio, e al Presbitero come alla legge di Gesù Cristo” (Ad Magnes., 2). Tuttavia Ignazio sottolinea la grandezza del ministero del Diacono, perché è “il ministero di Gesù Cristo che era presso il Padre prima dei secoli e si è rivelato alla fine dei tempi” (Ad Magnes., 6, 1). Come “ministri dei misteri di Gesù Cristo” è necessario che i Diaconi “siano in ogni modo graditi a tutti” (Ad Trall., 2, 3). Quando Ignazio raccomanda ai cristiani l’obbedienza al Vescovo e ai Sacerdoti, aggiunge: “Rispettate i Diaconi come un comandamento di Dio” (Ad Smyrn., 8, 1).

Altre testimonianze troviamo in san Policarpo di Smirne (Ad Phil., 5, 2), san Giustino (Apol., I, 65, 5; 67, 5), Tertulliano (De Bapt., 17, 1), san Cipriano (Epist. 15 e 16), e poi in sant’Agostino (De cat. rudibus, I,c. 1, 1).

3. Nei primi secoli il Diacono svolgeva funzioni liturgiche. Nella celebrazione eucaristica egli leggeva o cantava l’Epistola e il Vangelo trasmetteva al celebrante l’offerta dei fedeli, distribuiva la comunione e la portava agli assenti; vegliava sull’ordine delle cerimonie e alla fine congedava l’assemblea. Inoltre egli preparava i catecumeni al Battesimo, li istruiva, e assisteva il Sacerdote nell’amministrazione di questo sacramento. In certe circostanze battezzava lui stesso e svolgeva un’attività di predicatore. E ancora, egli partecipava all’amministrazione dei beni ecclesiastici, si occupava del servizio dei poveri, delle vedove, degli orfani, e dell’aiuto ai prigionieri.

Nei testimoni della Tradizione è attestata la distinzione fra le funzioni del Diacono e quelle del Sacerdote. Afferma, ad esempio, sant’Ippolito (II-III secolo) che il Diacono è ordinato “non per il sacerdozio, ma per il servizio del Vescovo, per fare ciò che egli comanda” (SCh, 11, p. 39; cf. Constitutiones Aegypt., III, 2: ed. Funk, Didascalia, p. 103; Statuta Ecclesiae Ant., 37-41: Mansi 3, 954). Di fatto, secondo il pensiero e la prassi della Chiesa, il diaconato appartiene al sacramento dell’Ordine, ma non fa parte del sacerdozio e non comporta funzioni propriamente sacerdotali.

4. In Occidente, com’è noto, il presbiterato venne prendendo col passare del tempo un rilievo quasi esclusivo per rapporto al diaconato che, di fatto, si ridusse a non essere che un grado sulla via del sacerdozio. Non è questa la sede per rifare il cammino storico e spiegare le ragioni di tali variazioni: è piuttosto da sottolineare che sulle basi dell’antica dottrina, nei nostro secolo si è fatta sempre più viva in sede teologica e pastorale la coscienza dell’importanza del diaconato per la Chiesa, e quindi dell’opportunità di un suo ristabilimento come Ordine e stato di vita permanente. Anche il Papa Pio XII vi fece allusione, nella sua allocuzione al secondo congresso mondiale dell’Apostolato dei laici (5 ottobre 1957), quando, pur affermando che l’idea di una reintroduzione del diaconato come funzione distinta dal sacerdozio in quel momento non era ancora matura, affermava però che poteva diventarlo e che in ogni caso il diaconato sarebbe stato collocato nel quadro del ministero gerarchico fissato dalla più antica tradizione (cf. Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IX, p. 458).

La maturazione avvenne col Concilio Ecumenico Vaticano II, che prese in considerazione le proposte degli anni precedenti e decise quel ristabilimento (cf. Lumen Gentium, 29).

Fu poi il Papa Paolo VI a porlo in atto disciplinando canonicamente e liturgicamente quanto riguardava tale Ordine (cf. Sacrum Diaconatus Ordinem: 18 giugno 1967; Pontificalis Romani recognitio: 17 giugno 1968; Ad pascendum: 15 agosto 1972).

5. Le ragioni che avevano fondato sia le proposte dei teologi, sia le decisioni conciliari e papali erano principalmente due. Anzitutto l’opportunità che certi servizi di carità, assicurati in modo permanente da laici consapevoli di dedicarsi alla missione evangelica della Chiesa, si concretizzassero in una forma riconosciuta in virtù di una consacrazione ufficiale. Vi era poi la necessità di supplire alla scarsezza di Presbiteri, oltre che di alleggerirli di molti compiti non direttamente connessi con il loro ministero pastorale. Non mancava chi vedeva nel diaconato permanente una specie di ponte tra pastori e fedeli.

È chiaro che, attraverso queste motivazioni legate alle circostanze storiche e alle prospettive pastorali, operava misteriosamente lo Spirito Santo, protagonista della vita della Chiesa, portando ad una nuova attuazione del quadro completo della gerarchia, tradizionalmente composta di Vescovi, Sacerdoti e Diaconi. Si promuoveva in tal modo una rivitalizzazione delle comunità cristiane, rese più conformi a quelle uscite dalle mani degli Apostoli e fiorite nei primi secoli, sempre sotto l’impulso del Paraclito, come attestano gli Atti.

6. Una esigenza particolarmente sentita nella decisione del ristabilimento del diaconato permanente era ed è quella della maggiore e più diretta presenza di ministri della Chiesa nei vari ambienti di famiglia di lavoro, di scuola ecc., oltre che nelle strutture pastorali costituite. Ciò spiega, tra l’altro, perché il Concilio, pur non rinunciando totalmente all’ideale del celibato anche per i Diaconi, ha ammesso che tale Ordine sacro possa essere conferito “a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio”. Era una linea di prudenza e di realismo, scelta per i motivi facilmente intuibili da chiunque abbia esperienza della condizione delle varie età e della situazione concreta delle diverse persone secondo il grado di maturità raggiunto. Per la stessa ragione è stato poi disposto, in sede di applicazione delle disposizioni del Concilio, che il conferimento del diaconato a uomini sposati avvenga a certe condizioni: come un’età non inferiore ai 35 anni, il consenso della moglie, la buona condotta e la buona reputazione, una adeguata preparazione dottrinale e pastorale ad opera di Istituti o di Sacerdoti specialmente scelti a questo scopo (cf. Paolo VI, Sacrum Diaconatus Ordinem, 11-15: Ench. Vat., II, 1381-1385).

7. Va però notato che il Concilio ha conservato l’ideale di un diaconato accessibile a giovani che si votino totalmente al Signore anche con l’impegno del celibato. È una via di “perfezione evangelica”, che può essere capita, scelta e amata da uomini generosi e desiderosi di servire il Regno di Dio nel mondo, senza accedere al sacerdozio, per il quale non si sentono chiamati, e tuttavia muniti di una consacrazione che garantisca ed istituzionalizzi il loro peculiare servizio alla Chiesa mediante il conferimento della grazia sacramentale. Non mancano oggi di questi giovani. Per essi sono state date alcune disposizioni, come quelle che esigono, per l’ordinazione diaconale, un’età non inferiore ai 25 anni e un periodo di formazione in un Istituto speciale,“dove siano messi alla prova, educati a vivere una vita veramente evangelica e preparati a svolgere utilmente le proprie specifiche funzioni”, almeno per la durata di tre anni (cf. Ivi, 5-9: Ench. Vat., II, 1375-1379). Sono disposizioni che lasciano trasparire l’importanza che la Chiesa attribuisce al diaconato e il suo desiderio che questa Ordinazione avvenga a ragion veduta e su basi sicure. Ma esse sono anche manifestazioni dell’ideale antico e sempre nuovo di consacrazione di sé al Regno di Dio, che la Chiesa raccoglie dal Vangelo ed innalza come un vessillo specialmente dinanzi ai giovani, anche nel nostro tempo.

 

 

Dal Vangelo Secondo Marco (10, 35-45)

E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».  Parola del Signore

Ass. Lode a Te o Cristo

 

 

Da un Omelia del Vescovo Vincenzo Paglia

Marco riferisce un dialogo tra Gesù e i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. Siamo ancora sulla strada verso Gerusalemme e, per la terza volta, Gesù aveva confidato ai discepoli il destino di morte che lo aspettava al termine del cammino. I due discepoli, per nulla toccati dalle tragiche parole del Maestro, e con una notevole durezza di cuore, si fanno avanti e chiedono a Gesù i primi posti accanto a lui quando instaurerà il regno. Dopo la confessione di Pietro a Cesarea e la discussione su chi tra loro fosse il primo, probabilmente è cresciuto un clima di rivalità tra i discepoli; e questo forse spiega l'ambizione dei due fratelli nel rivendicare i primi posti. Quanto è difficile per Gesù toccare i cuori di quei dodici che pure si era scelti e curati! La verità è che essi sono davvero distanti dal pensiero e dalle preoccupazioni di Gesù, e non riescono a sintonizzarsi con lui. Non basta, infatti, stargli fisicamente vicino per comprenderlo. È necessario ascoltare ogni giorno la sua parola e seguirlo in un vero e proprio itinerario di crescita interiore. Quante volte, invece, dobbiamo constatare la nostra povertà spirituale, la nostra scarsa sapienza evangelica!

Di fronte alla pretesa dei due discepoli Gesù risponde: "Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?". Gesù vuole spiegare loro le esigenze del Vangelo attraverso due simboli, il calice e il battesimo, che erano ben noti a chi come loro frequentavano le Sante Scritture. […]I due discepoli probabilmente neppure ascoltano le parole del Maestro e tanto meno ne comprendono il senso. Del resto la parola evangelica, per essere ascoltata e compresa, richiede un atteggiamento di ascolto e di preghiera. Ai due apostoli non importa comprendere la Parola evangelica; quel che interessa è l'assicurazione del posto o comunque l'attenzione alla loro pretesa. E con sciocca semplificazione dicono: "Lo possiamo!".[…] Era ovvio comunque che la richiesta dei due figli di Zebedeo scatenasse l'invidia e la gelosia degli altri discepoli ("si sdegnarono con Giacomo e Giovanni", nota l'evangelista). Gesù allora li chiamò ancora una volta tutti attorno a sé per una nuova lezione evangelica. Ogni volta che i discepoli non ascoltano le parole di Gesù e si lasciano guidare dai loro ragionamenti, si discostano dalla via evangelica e provocano liti e dissidi al loro stesso interno. È istintiva nei discepoli, come del resto in ogni persona, la tendenza a fare da maestri a se stessi, a essere autosufficienti, sino al punto di fare a meno di tutti, persino di Gesù. Per il Vangelo è vero l'esatto contrario: il discepolo resta sempre alla scuola del maestro, rimane sempre uno che ascolta. E anche se dovesse occupare posti di responsabilità, sia nella Chiesa che nella vita civile, resta sempre figlio del Signore, ossia discepolo che sta ai piedi di Gesù.

Ecco perché Gesù raduna nuovamente i Dodici attorno a sé e li ammaestra: "Sapete che coloro che sono ritenuti i capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così". L'istinto del potere – sembra dire Gesù – è ben radicato nel cuore degli uomini, anche in quello di chi spergiura di non esserne sfiorato. Nessuno, neppure all'interno della comunità cristiana, è immune da tale tentazione (si potrebbe dire che lo stesso Gesù subì la tentazione del potere, quando fu condotto dallo Spirito nel deserto). Non importa che si tratti del "grande" o del "piccolo" potere; tutti ne subiamo il fascino. È normale fare considerazioni severe su coloro che hanno il potere politico, economico, culturale. Forse però è più facile fare l'esame di coscienza agli altri che a se stessi, in genere uomini e donne dal "piccolo potere". Non dovremmo tutti chiederci quanto spesso usiamo in modo egoistico e arrogante quella piccola fetta di potere che ci siamo ritagliati in famiglia, o a scuola, o in ufficio, o dietro uno sportello, o per la strada, o nelle istituzioni ecclesiali, o altrove? La scarsa riflessione in questo campo è spesso fonte di amarezze, di lotte, di invidie, di opposizioni, di crudeltà.

Ai suoi discepoli Gesù continua a dire: "Tra voi non è così" (forse sarebbe più corretto dire: "non sia così"). Non si tratta di una crociata contro il potere, per favorire un facile umilismo che può anche essere solo indifferenza. Gesù ha avuto potere ("insegnava come uno che ha autorità", scrive Matteo 7, 29), e lo ha concesso anche ai discepoli ("Diede loro potere sugli spiriti immondi", si legge in Marco 6, 7). Il problema è di quale potere si parla, e comunque di come lo si esercita. Il potere di cui parla il Vangelo è quello dell'amore. E Gesù lo spiega non solo con le parole quando afferma "Chi vuole essere grande tra voi si farà vostro servitore", ma con la sua stessa vita. Dice di se stesso: "Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti". Così deve essere per ogni suo discepolo.

 

SILENZIO MEDITAZIONE

 

 

Da un’Omelia del Card. Giacomo Biffi

[…] Essere diaconi vuol dire essere "servi" anche e prima di tutto di colui che solo è il Signore. Siamo tutti servi di Cristo: non tocca dunque a noi definire il piano di salvezza e le sue modalità sostanziali, ma a colui che è l'unico Salvatore; non tocca a noi individuare le strade e i mezzi irrinunciabili e più efficaci dell'arte pastorale, che pur siamo chiamati a esercitare, ma a colui che è il "Principe dei pastori" (cfr. 1 Pt 5,4).

A noi tocca meditare assiduamente la sua parola, assimilare la sua mentalità, cercar di capire i suoi gusti - mantenersi insomma in una totale comunione con lui - in modo che il nostro ministero appaia testimonianza trasparente dell'amore redentivo del Figlio di Dio crocifisso e risorto, e sia strumento docile della sua azione di rinnovamento e di santificazione.

Questa essenziale "relatività" e dipendenza del lavoro apostolico, che è di quanti sono irrevocabilmente segnati dall'ordine sacro, si specifica ulteriormente per voi: il diacono - che pur è chiamato a istruire i fratelli con l'annuncio evangelico, a scortarli sulla via del Regno di Dio, a partecipare attivamente al conferimento del dono sacramentale - non è mai un "protagonista autonomo" entro l'assemblea dei credenti: in tutto ciò che fa nell'adempimento della sua missione, egli agisce costantemente in connessione non solo col vescovo, che resta il suo riferimento primario, ma anche col presbitero con cui collabora, e segnatamente col parroco del territorio sul quale egli svolge la sua attività.

Appunto perché vi colloca in posizione di servizio e di subordinazione, la prerogativa di cui venite ogni insigniti non costituirà oggetto di molto apprezzamento e di molta invidia da parte di chi non si lascia ispirare dalla fede nei suoi giudizi. Il "mondo" anzi farà fatica a capirvi, dal momento che, persino con quelle tra le sue iniziative che sembrano più altruistiche e disinteressate, esso insegue quasi sempre il potere, il tornaconto, il prestigio. Perciò non vi riuscirà facile intendervi con i vari dominatori della scena sociale, perché voi siete e dovete sempre mantenervi diversi.

Di tutto ciò il Signore ci ha chiaramente avvertiti, quando ha detto: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere, e in più si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve" (cfr. Mt 20,24; Lc 22,25-26).[…]

 

 

SILENZIO MEDITAZIONE

 

CANTO

 

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (15, 9-17)

Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. Parola del Signore

Ass. Lode a Te o Cristo

 

 

Da un Omelia del Vescovo Vincenzo Paglia

"Amiamoci gli uni gli altri". E l'imperativo che l'apostolo Giovanni non si stanca di rivolgere alla sua comunità. Egli sa bene quanto l'amore sia centrale nella vita dei discepoli. Lo ha appreso direttamente da Gesù. Ma più che da una lezione teorica o da un'esortazione morale, Giovanni ne ha fatto l'esperienza concreta. Ne ha potuto gustare la dolcezza e la tenerezza, ne ha visto la radicalità e l'ampiezza che giungeva sino all'amore per i nemici anzi sino al dono della stessa vita. Di questo amore Giovanni è stato un testimone privilegiato, un custode attento e un predicatore sollecito. […]Per comprendere l'amore di Dio (l'agape) non bisogna partire da noi stessi, dalle nostre speculazioni teoriche, dai nostri sentimenti o dalla nostra psicologia ma, appunto, da Dio. Le Sante Scritture sono il documento privilegiato per comprendere tale amore; esse infatti non sono altro che la narrazione della vicenda storica dell'amore di Dio per gli uomini. Pagina dopo pagina, nelle Sante Scritture scorgiamo un Dio che sembra non darsi pace finché non trova riposo nel cuore dell'uomo. Potremmo parafrasare per il Signore la nota frase che sant'Agostino applicava all'uomo: "Inquietum est cor meum...". Un sacerdote poeta, Davide Maria Turoldo, ha parlato del "cuore inquieto di Dio": egli è sceso sulla terra per cercare e salvare ciò che era perduto, per dare la vita a ciò che non aveva più vita. E un Dio che si fa mendicante, mendicante di amore. In verità, mentre Egli stende la mano per chiedere amore lo dà agli uomini. Egli è lo spirito che scende nella materia, è la luce che penetra nelle tenebre, per dare vita, per spiritualizzare, per elevare e salvare. Questo è l'amore cristiano: Dio che scende, gratuitamente, nel più basso per raggiungere l'amato. Sì, Dio è inquieto finché non trova l'uomo. E lo è a tal punto "da mandare il suo figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). L'amore di Dio, potremmo dire, "è in discesa", si abbassa fino a giungere nel più profondo della vita degli uomini, e con una dedizione totale, "sino a dare la vita per i propri amici" come Gesù stesso dice. […] Se l'intera Scrittura è la storia dell'amore di Dio sulla terra, i Vangeli ne mostrano il culmine. Perciò, se vogliamo balbettare qualcosa dell'amore di Dio, se vogliamo dargli un volto e un nome, possiamo dire che l'amore è Gesù. L'amore è tutto ciò che Gesù ha detto, vissuto, fatto, amato, patito... L'amore è cercare i malati, è avere amici noti peccatori e peccatrici, samaritani e samaritane, gente lontana, nemica e rifiutata. L'amore è dare la propria vita per tutti, è restare soli per non tradire il Vangelo, è avere come primo compagno in paradiso un condannato a morte, il ladro pentito... Questo è l'amore di Dio. Davvero altra cosa dall'eros, impastato di egoismi, di grettezze, degli sbalzi della nostra psicologia, dei nostri umori... Di tutto ciò ne abbiamo abbastanza; dell'agape ne abbiamo estremo bisogno. Il vuoto d'amore tra gli uomini sembra farsi più ampio e profondo, proprio mentre i legami di affetto e di amicizia si rivelano più fragili. […] Solo l'agape è come la roccia salda che ci risparmia dalla distruzione, perché prima dell'io c'è l'altro. Gesù ce ne ha dato l'esempio anzitutto con la sua stessa vita. Può dunque dire ai discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15, 9). Il rapporto esistente tra il Padre e il Figlio è posto come modello e fonte dell'amore cristiano. Certo, non può nascere da noi un tale amore, possiamo però riceverlo da Dio, se accolto, ha una forza dirompente: fa crollare i muri cominciando da quelli che costruiamo per difendere noi stessi, e apre il cuore e la vita verso una fraternità ampia, universale, che non conosce nemici. Genera insomma una nuova comunità di uomini e donne, ove l'amore di Dio si incrocia, quasi sino all'identificazione, con l'amore vicendevole.

L'uno infatti è causa dell'altro. Un noto teologo russo amava dire: "Non permettere che la tua anima dimentichi questo motto degli antichi maestri dello spirito: dopo Dio considera ogni uomo come Dio!". Questo tipo di amore è il segno distintivo di chi è generato da Dio. Ma non è proprietà acquisita una volta per tutte, né appartiene di diritto a questo o a quel gruppo. L'amore di Dio non conosce limiti e confini di nessun genere, supera il tempo e lo spazio; infrange ogni barriera di razza, di cultura, di nazione, persino di fede, come si legge negli Atti degli Apostoli quando lo Spirito riempì anche la casa del pagano Comelio. L'agape è eterna; tutto passa, persino la fede e la speranza, l'amore resta per sempre, neppure la morte lo infrange, anzi è più forte di essa. A ragione Gesù può concludere: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11).

 

SILENZIO MEDITAZIONE

 

 

Da un’Omelia del Card. Giacomo Biffi

Il diaconato nel linguaggio ecclesiastico è definito un ordine "sacro". Che cosa significa e che cosa comporta questa qualifica? Questa qualifica significa che chi riceve l’ordine del diaconato, mediante l’imposizione delle mani del vescovo, varca la soglia del santuario dell’Emmanuele, il Dio che si fa presente e operoso in mezzo al suo popolo; e dunque si addentra in un mistero grande ed emozionante: il mistero della prossimità, anzi dell’immanenza soprannaturale e salvifica del Signore. Questa qualifica comporta altresì che da tale incontro con la Divinità, l’uomo sia segnato per sempre e diventi collaboratore speciale e permanente di colui che è il "Santo"; e collaboratore proprio nell’opera di riscatto, di elevazione, di santificazione degli uomini. Quando la creatura fa un’esperienza ravvicinata del Divino si sbigottisce e, se non è del tutto superficiale e insensibile, è prese fortemente dal senso della sua indegnità e quasi della sua contaminazione. È ciò che ha provato Isaia, quando si è trovato di fronte al Re dell’universo, a colui che tutto domina con la sua potenza e la sua infinità: "I lembi del suo manto riempivano il tempio" e "della sua gloria è colma tutta la terra" (cf Is 6,1.3). La voce dell’uomo sorpreso da un tale spettacolo non può che essere un gemito e un grido di smarrimento: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono!" (cf Is 6,5). […] Anche voi, carissimi candidati al diaconato, percepite la trascendente grandezza di questo momento; e il vostro animo, che pure è ormai ben temprato dalle varie vicende della vita, certamente non è immune da un certo sgomento e da una certa preoccupazione. È giusto che sia così; e io anzi mi auguro che conserviate un po’ di timore e di apprensione di fronte al mistero di Dio, anche quando sarete lungamente assuefatti agli atti del ministero diaconale. Ma nessuna vera paura vi deve oggi turbare. Il dono sacramentale, che oggi vi viene conferito, è per se stesso più efficace nel purificarvi che non il carbone ardente del serafino che ha mondato le labbra del profeta; e, superando la vostra naturale povertà, vi commisura alla sublimità del vostro compito. E poi non siete soli. Non soltanto le vostre famiglie e le vostre comunità, ma tutta la nostra Chiesa oggi vi sorregge con il suo affetto, vi rasserena e vi incoraggia con la sua gioia, vi accompagna con la sua preghiera.

Il mistero cui oggi vi donate è un mistero di luce; e voi ministri di luce dovrete farvi con l’annuncio del Vangelo, con l’insegnamento ai fedeli della dottrina di Cristo, con il consiglio fraterno e autorevole a quanti sono ancora alla ricerca della verità. Il mistero cui oggi vi donate è un mistero di vita divina; e voi vi porrete completamente al servizio della vita divina che si comunica agli uomini, mediante gli atti liturgici che vi competono, soprattutto nutrendo i fratelli del Corpo e del Sangue del Signore. Il mistero cui oggi vi donate è un mistero d’amore; e voi siete mandati a richiamare, a tener desta, a esercitare la legge evangelica della carità, in mezzo al popolo di Dio e in mezzo all’umanità confusa e dolente che incontrerete. Sono doveri e mansioni che solleciteranno ogni giorno la vostra generosità e il vostro spirito di sacrificio, perché vi si riconosca davvero come "diaconi", cioè come discepoli premurosi e come immagini autentiche e vive di Cristo, che è venuto non per essere servito ma per servire. Vi dirò, prendendo a prestito le parole di San Paolo: per grazia di Dio, carissimi, siete quello che siete; e la sua grazia in noi non è stata vana (cf 1 Cor 15,10). Il Signore Gesù, di cui vorrete essere i testimoni privilegiati e i ministri, è risorto e vi sarà sempre vicino. PurchÈ con la vostra azione diaconale - oltre che con l’intero comportamento nella famiglia, sul lavoro, entro la comunità cristiana - voi predichiate la sua morte redentrice, annunciate la sua risurrezione rinnovatrice di tutto, attendiate con fiducia il suo ritorno. Se quando verrà il Signore vi troverà svegli e attivi nel ministero, in verità vi dico (è la sua stessa stupefacente promessa): nel Regno dei cieli vi farà mettere a tavola e passerà lui a servirvi. (cf Lc 12,37).

 

 

SILENZIO MEDITAZIONE

 

 

 

CEL. :Dio onnipotente,

sorgente di ogni grazia,

dispensatore di ogni ordine e ministero,

Tu vivi in eterno

e tutto disponi e rinnovi

con la tua provvidenza di Padre.

Per mezzo del Verbo tuo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore,

tua potenza e sapienza,

compi nel tempo l’eterno disegno del tuo amore.

Per opera dello Spirito Santo

tu hai formato la Chiesa, corpo del Cristo,

varia e molteplice nei suoi carismi,

articolata e compatta nelle sue membra;

così hai disposto che mediante i tre gradi  del  ministero da  te istituito

cresca e si edifichi il nuovo tempio come in antico scegliesti i figli di Levi

a servizio del tabernacolo santo.

Agli inizi della tua Chiesa gli Apostoli del tuo Figlio,

guidati dallo Spirito Santo,

scelsero sette uomini stimati dal popolo, come collaboratori nel ministero.

Con la preghiera e con l’imposizione delle mani

affidarono loro il servizio della carità,

per potersi dedicare pienamente all’orazione

a all’annunzio della parola.

Padre guarda con bontà i tuoi figli,

che saranno consacrati come diaconi della Chiesa di Bologna

 

Ti supplichiamo, o Signore,

effondi in loro lo Spirito Santo,

che li fortifichi con i sette doni della tua grazia,

perché compiano fedelmente l’opera del ministero.

Siano pieni di ogni virtù:

sinceri nella carità,

premurosi verso i poveri e i deboli,

umili nel loro servizio,

retti e puri di cuore,

vigilanti e fedeli nello spirito.

L’esempio della loro vita

sia un richiamo costante al Vangelo

e susciti imitatori nel tuo popolo santo.

Sostenuti dalla coscienza del bene compiuto,

forti e perseveranti nella fede,

siano immagine del tuo Figlio,

che non venne per essere servito ma per servire,

e giungano con lui alla gloria del tuo regno.  Amen.

 

 

REPOSIZIONE

 

PREGHIERA TUTTI INSIEME:

Santa Maria, serva della Parola, serva a tal punto che, oltre ad ascoltarla e custodirla, l'hai accolta incarnata nel Cristo, aiutaci a mettere Gesù al centro della nostra vita.

Fa' che ne sperimentiamo le suggestioni segrete. Dacci una mano perché sappiamo essergli fedeli fino in fondo.

Donaci la beatitudine di quei servi che egli, tornando nel cuore della notte, troverà ancora svegli, e che, dopo essersi cinte le vesti, lui stesso farà mettere a tavola e passerà a servire.

Fa' che il Vangelo diventi la norma ispiratrice di ogni nostra scelta quotidiana. Preservaci dalla tentazione di praticare sconti sulle sue esigenti richieste. Rendici capaci di obbedienze gaudiose.

E metti, finalmente, le ali ai nostri piedi perché alla Parola possiamo rendere il servizio missionario dell' annuncio, fino agli estremi confini della terra.

 

Santa Maria, serva del mondo, che, subito dopo esserti dichiarata ancella di Dio, sei corsa a farti ancella di Elisabetta, conferisci ai nostri passi la fretta premurosa con cui tu raggiungesti la città di Giuda, simbolo di quel mondo di fronte al quale la Chiesa è chiamata a cingersi il grembiule. Restituisci cadenze di gratuità al nostro servizio così spesso contaminato dalle scorie dell'asservimento.

E fa' che le ombre del potere non si allunghino mai sui nostri offertori.

Tu che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari del protagonismo.

Rendici consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si nasconde il Re. Apri il nostro cuore alle sofferenze dei fratelli. E perché possiamo essere pronti a intuirne le necessità, donaci occhi gonfi di tenerezza e di speranza.

(del Vescovo Tonino Bello)

 

CANTO FINALE

 

APPENDICE

 

Beato  GIOVANNI PAOLO II:  UDIENZA GENERALE del Mercoledì, 20 ottobre 1993

 1. Tra le tematiche della catechesi sul diaconato, è particolarmente importante e attraente quella che riguarda lo spirito del diaconato, che tocca e coinvolge tutti coloro che ricevono questo sacramento per esercitarne le funzioni secondo una dimensione evangelica. È questa la via che porta alla perfezione cristiana i suoi ministri e permette loro di rendere un servizio (diaconia) veramente efficace nella Chiesa, “al fine di edificare il Corpo di Cristo” (Ef 4, 12).

Scaturisce di qui la spiritualità diaconale, che ha la sua sorgente in quella che il Concilio Vaticano II chiama “grazia sacramentale del diaconato” (Ad Gentes,  16). Oltre ad essere un aiuto prezioso nel compimento delle varie funzioni, essa incide profondamente nell’animo del Diacono impegnandolo all’offerta, alla donazione di tutta la persona a servizio del Regno di Dio nella Chiesa. Come è indicato dal termine stesso di diaconato, ciò che caratterizza l’intimo sentire e volere di chi riceve il sacramento è lo spirito di servizio. Col diaconato si tende a realizzare ciò che Gesù ha dichiarato in merito alla sua missione: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; Mt 20, 28).

Senza dubbio Gesù rivolgeva queste parole ai Dodici, che egli destinava al sacerdozio, per far loro comprendere che, anche se muniti dell’autorità da lui conferita, essi dovevano comportarsi come lui, da servi. Il monito vale, dunque, per tutti i ministri di Cristo; esso, tuttavia, ha un particolare significato per i Diaconi, per i quali, in forza della ordinazione, l’accento è posto espressamente su questo servizio. Essi, che non dispongono dell’autorità pastorale dei Sacerdoti, sono particolarmente destinati a manifestare, nell’espletamento di tutte le loro funzioni, l’intenzione di servire. Se il loro ministero è coerente con questo spirito, essi mettono maggiormente in luce quel tratto qualificante del volto di Cristo: il servizio. L’essere non solo “servi di Dio”, ma anche dei propri fratelli.

2. È un insegnamento di vita spirituale di origine evangelica, passato nella prima tradizione cristiana come conferma quell’antico testo che porta il nome di “Didascalia degli Apostoli” (sec. III). I Diaconi vi sono incoraggiati a ispirarsi all’episodio evangelico della lavanda dei piedi: “Se il Signore ha fatto questo, – vi è scritto – voi Diaconi non esitate a farlo per coloro che sono ammalati e infermi, perché voi siete operai della verità, rivestiti dell’esempio di Cristo” (XVI, 36: ed. Connolly, 1904, p. 151). Il diaconato impegna alla sequela di Gesù in questo atteggiamento di umile servizio che non s’esprime soltanto nelle opere di carità, ma investe e modella tutto il modo di pensare e di agire.

In questa prospettiva si comprende la condizione enunciata dal documento Sacrum Diaconatus Ordinem per l’ammissione di giovani alla formazione diaconale: “Siano ammessi al tirocinio diaconale soltanto quei giovani che abbiano manifestato una naturale propensione dello spirito al servizio della sacra gerarchia e della comunità cristiana” (n. 8: Ench. Vat., II, 1378). La “naturale propensione” non deve essere intesa nel senso di una semplice spontaneità delle disposizioni naturali, quantunque anche questa sia un presupposto di cui tener conto. Si tratta di una propensione della natura animata dalla grazia, con uno spirito di servizio che conforma il comportamento umano a quello di Cristo. Il sacramento del diaconato sviluppa questa propensione: rende il soggetto più intimamente partecipe dello spirito di servizio di Cristo, ne penetra la volontà con una speciale grazia, facendo sì che egli, in tutto il suo comportamento, sia animato da una propensione nuova al servizio dei fratelli.

Si tratta di un servizio da rendere prima di tutto in forma di aiuto al Vescovo e al Presbitero, sia nel culto liturgico che nell’apostolato. È appena necessario osservare, qui, che chi fosse dominato da una mentalità di contestazione, o di opposizione all’autorità non potrebbe adempiere adeguatamente alle funzioni diaconali. Il diaconato non può essere conferito che a coloro che credono al valore della missione pastorale del Vescovo e del Presbitero, e all’assistenza dello Spirito Santo che li guida nella loro attività e nelle loro decisioni. In particolare va ripetuto che il Diacono deve “professare al Vescovo riverenza ed obbedienza” (Ivi, 30: Ench. Vat., II, 1400).

Ma il servizio del Diacono è rivolto, poi, alla propria comunità cristiana ed a tutta la Chiesa, per la quale non può non nutrire un profondo attaccamento a motivo della sua missione e della sua istituzione divina.

3. Il Concilio Vaticano II parla anche dei doveri e degli obblighi che i Diaconi assumono in virtù di una propria partecipazione alla missione e alla grazia del supremo sacerdozio: essi “servendo ai misteri di Cristo e della Chiesa, devono mantenersi puri da ogni vizio e piacere a Dio e studiarsi di fare ogni genere di opere buone davanti agli uomini (cf. 1 Tm 3, 8-10. 12-13)” (Lumen Gentium, 41). È dunque, il loro, un dovere di testimonianza, che investe non solo il loro servizio ed apostolato, ma tutta la loro vita.

Su questa responsabilità e sugli obblighi che essa comporta, attira l’attenzione Paolo VI nel già citato documento Sacrum Diaconatus Ordinem: “I Diaconi, come quelli che si dedicano ai misteri di Cristo e della Chiesa, si astengano da qualsiasi cattiva abitudine e procurino di essere sempre graditi a Dio, “pronti a qualunque opera buona” per la salvezza degli uomini. A motivo, dunque, dell’Ordine ricevuto, essi devono superare di gran lunga tutti gli altri nella pratica della vita liturgica, nell’amore alla preghiera, nel servizio divino, nell’esercizio dell’obbedienza, della carità e della castità” (n. 25: Ench. Vat., II, 1395).

In particolare, per quanto concerne la castità, i giovani che sono ordinati Diaconi si impegnano a conservare il celibato e a condurre una vita di più intensa unione con Cristo. In questo campo, anche coloro che sono più anziani, “ricevuta l’ordinazione... sono inabili a contrarre matrimonio in virtù della tradizionale disciplina ecclesiastica” (Ivi., 16: Ench. Vat., II, 1386).

4. Per soddisfare a questi obblighi e, ancor più profondamente, per rispondere alle esigenze dello spirito del diaconato con l’aiuto della grazia sacramentale, è richiesta una pratica degli esercizi di vita spirituale, che la Lettera apostolica di Paolo VI così enuncia: 1) si dedichino assiduamente alla lettura e all’intima meditazione della parola di Dio; 2) spesso, o anche ogni giorno, partecipino attivamente al sacrificio della Messa, si ristorino spiritualmente con il sacramento della SS. Eucaristia e ad esso devotamente rendano visita; 3) purifichino frequentemente la propria anima con il sacramento della Penitenza e, al fine di riceverlo più degnamente, ogni giorno esaminino la propria coscienza; 4) con intenso esercizio di filiale pietà venerino e amino la Vergine Maria, Madre di Dio (cf. Ivi, 26: Ench. Vat., II, 1396).

“È cosa sommamente conveniente che i diaconi stabilmente costituiti recitino ogni giorno almeno una parte dell’Ufficio divino, da stabilirsi dalla Conferenza episcopale” (Ivi, 27: Ench. Vat., II, 1397). Le stesse Conferenze Episcopali hanno il compito di stabilire norme più particolari per la vita dei Diaconi, secondo le condizioni dei luoghi e dei tempi.

Infine, per chi riceve il diaconato vi è un obbligo di formazione dottrinale permanente, che perfezioni e attualizzi sempre più quella richiesta prima dell’ordinazione: “I Diaconi non interrompano gli studi, particolarmente quelli sacri; leggano assiduamente i libri divini della Scrittura; si dedichino all’apprendimento delle discipline ecclesiastiche in modo da poter rettamente esporre agli altri la dottrina cattolica e divenire sempre più capaci di istruire e rafforzare gli animi dei fedeli. A tal fine, i diaconi siano invitati a partecipare ai convegni periodici in cui vengono affrontati e trattati problemi relativi alla loro vita e al sacro ministero” (Ivi, 29: Ench. Vat., II, 1399).

5. La catechesi sul diaconato, che ho voluto svolgere per tracciare il quadro completo della gerarchia ecclesiastica, mette dunque in risalto ciò che in quest’Ordine, come in quelli del Presbiterato e dell’Episcopato, è di somma importanza: una specifica partecipazione spirituale al Sacerdozio di Cristo e l’impegno della vita nella conformità a Lui sotto l’azione dello Spirito Santo. Non posso concludere senza ricordare che anche i Diaconi, come i Presbiteri e i Vescovi, impegnati nella via del servizio al seguito di Cristo, sono associati più specialmente al Sacrificio redentore, secondo la massima formulata da Gesù nel parlare ai Dodici del Figlio dell’uomo, venuto per “servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45). I Diaconi sono dunque chiamati a partecipare al mistero della Croce, a condividere la sofferenze della Chiesa, a soffrire dell’ostilità che la colpisce, in unione con Cristo Redentore. È quest’aspetto doloroso del servizio diaconale è ciò che lo rende più fecondo.

 

Dalla  LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO  SACRUM DIACONATUS del Servo di Dio  Papa Paolo VI

n. 22. A norma della citata Costituzione del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, spetta al diacono, secondo che l'Ordinario del luogo gli abbia commesso di attendere a tali funzioni:
1) assistere, durante le azioni liturgiche, il vescovo ed il sacerdote per tutto ciò che, secondo le prescrizioni dei diversi libri rituali, gli compete;
2) amministrare solennemente il battesimo e supplire alle cerimonie eventualmente omesse nel conferimento di esso ai bambini e agli adulti;
3) conservare l'Eucaristia, distribuirla a sé e agli altri, portarla come viatico ai moribondi e impartire al popolo con la sacra pisside la cosiddetta benedizione eucaristica;
4) assistere ai matrimoni e benedirli, in nome della Chiesa, per delega del vescovo o del parroco, qualora manchi il sacerdote, nel rispetto di quanto stabilito nel CIC (Cf cann. 1095 § 2 e 1096) e valido restando il canone 1098 le cui prescrizioni, in ciò che si riferisce al sacerdote, devono ritenersi estese anche al diacono;
5) amministrare i sacramentali, presiedere ai riti funebri e di sepoltura;
6) leggere ai fedeli i divini libri della Scrittura e istruire e animare il popolo;
7) presiedere ai servizi del culto e alle preghiere ove non sia presente il sacerdote;
8) dirigere le celebrazioni della parola di Dio, soprattutto quando manchi il sacerdote;
9) esercitare, in nome della Gerarchia, i doveri della carità e dell'amministrazione, nonché le opere di servizio sociale;
10) guidare legittimamente, in nome del parroco e del vescovo, comunità cristiane disperse;
11) promuovere e sostenere le attività apostoliche dei laici.
23. Tutte queste funzioni devono essere compiute in perfetta comunione con il vescovo e con il suo presbiterio, cioè sotto l'autorità del vescovo e del sacerdote che, nel territorio, presiedono alla cura delle anime.
24. I diaconi, per quanto possibile, siano ammessi a far parte dei Consigli Pastorali.