SCIENZA E FEDE

di Massimo Craboledda

Un paio di anni fa, nel febbraio 2001, venivano pubblicati sulle riviste specializzate, con grande eco di tutta la stampa, i risultati della mappatura del genoma umano. Di che si tratta? Il genoma è il corredo complessivo dei geni presenti nei cromosomi di un organismo i quali, a loro volta, costituiscono la struttura fondamentale del nucleo delle cellule. Dal punto di vista genetico, un cromosoma può, appunto, definirsi come una sequenza di geni associati fra loro. Ogni gene, che sotto l'aspetto chimico è una porzione di una lunghissima molecola di DNA, è portatore di caratteri ereditari e responsabile di caratteristiche specifiche dell'individuo. Avere completato la mappatura del genoma umano significa, quindi, avere riconosciuto tutti i geni presenti nell'uomo, la loro sequenza, la loro struttura e composizione.

Questo risultato, che ha richiesto anni di ricerca ed ingenti investimenti, è solo un primo, indispensabile passo. Un lavoro enorme attende ora gli scienziati: capire la funzione di tutti i geni scoperti e di quelle porzioni di DNA, apparentemente non attive, che si frappongono fra di essi, alle quali è stato dato il nome di "spazzatura". Il primo campo di applicazione di questa ricerca è, certamente, la medicina. Oltre a conseguire una migliore comprensione del funzionamento delle cellule, sarà importante stabilire all'alterazione di quale o di quali geni associare l'insorgere di malattie specifiche come, ad esempio, il cancro, il diabete, i disturbi cardiovascolari o psichici, perché sia possibile studiare e sperimentare nuovi approcci diagnostici e terapeutici. Finora per circa 1.700 geni è stato possibile stabilire un collegamento diretto con stati patologici. Si apre, poi, il vastissimo campo di ricerca sulle proteine prodotte dai geni e sui relativi meccanismi di regolazione.

Ma numerose altre sono le finalità di questi studi. Essi ci aiuteranno a capire come il genoma umano è pervenuto al suo stato attuale, getteranno luce sulle relazioni evolutive fra homo sapiens sapiens ed i suoi predecessori, daranno informazioni sulla misura in cui i virus o altri agenti infettivi hanno contribuito all'evoluzione degli organismi.

La mappatura del genoma umano ha, comunque, già fornito interessanti novità e conferme. Apprendiamo, ad esempio, che i nostri geni sono mediamente circa trentamila (e non centomila come si supponeva) e che il concetto di razza non è un concetto scientifico. Nel progetto genoma sono stati utilizzati donatori bianchi, neri, asiatici e ispanici senza rilevare differenze significative nel corredo genetico: un brutto colpo per razzisti e xenofobi!

Abbiamo un numero di geni doppio di quelli di un lombrico o di un moscerino, appena trecento più di un topo, mentre è minima la distanza che in questo ci separa dall'ordine dei primati. E' una lezione di umiltà per il genere umano ma anche la conferma indiretta che la differenza fra l'uomo e gli altri animali superiori non può risiedere solo nelle differenze, più o meno marcate, della struttura del DNA.

A questo punto si impone una riflessione. E' triste che, mentre aumenta la conoscenza scientifica della natura umana a livello genetico e fisiologico, appaia, di pari passo, diminuire la consapevolezza dell'uomo in quanto tale, sembri smarrirsi o farsi evanescente, presso larghe fasce di coloro che "fanno cultura", l'autentica verità sull'uomo. C'è, in effetti, il rischio che, a forza di parlare di geni, di relazione fra geni e accadimenti della vita, fra caratteristiche del DNA e aspetti somatici e comportamentali, si finisca per considerare l'uomo nient'altro che un aggregato chimico, completamente determinato da tale sua struttura e sul quale è possibile intervenire con tutti i mezzi che tecnologie di laboratorio sempre più sofisticate mettono a disposizione. Questa sorta di naturalismo, originato dall'indifferenza quando non dall'ostilità verso la realtà metafisica, spirituale, è il virus che rischia di inquinare il progresso scientifico, facendo di un benefico fiume che può irrigare la terra e fecondarla una forza distruttiva che esce dall'alveo, devastando.

Occorre mettere dei paletti o, meglio, per restare nella metafora, costruire o ripristinare degli argini. Affermazioni tipo: "Non si devono porre limiti alla scienza" sono estremamente ambigue. Se, per acquisire conoscenze scientifiche, debbo sacrificare degli embrioni umani, rinuncerò piuttosto a quelle conoscenze, in attesa, eventualmente, che si aprano altre vie: il fine non giustifica i mezzi. Analogamente il progetto genoma che abbiamo ricordato metterà a disposizione informazioni molto personali sugli individui: se non adeguatamente protette e regolamentate, esse potranno essere usate per ogni sorta di discriminazione.

A parole, tutti sono d'accordo sull'assoluta necessità di affiancare alla genetica una bioetica il più possibile condivisa a livello mondiale: decisioni unilaterali di un Paese, non coordinate su scala internazionale, rischiano di essere scarsamente efficaci, così come avviene per il nucleare, ove assistiamo alla realtà di una nazione che mette al bando le centrali atomiche ed è circondata da altre che ne sono disseminate.

Questa è, dunque, oggi la magna quaestio: quale dev'essere il fondamento della bioetica? Esiste un criterio che può essere riconosciuto come vero e condiviso da società e culture diverse? C'è una verità dell'uomo da riaffermare come punto di riferimento per tutti? La risposta a tali domande non può che fondarsi sul riconoscimento della dignità della persona, colta nella totalità unificata di corpo e di spirito. Come credenti, in questo ambito più che in altri, abbiamo la forte responsabilità di trasfondere valori in una cultura che si va sempre più omologando in senso antievangelico.