Il Magistero del Vescovo

 IL FIGLIO: DONO O DIRITTO?

di Maria Carla Papi  

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Dalla Conferenza del 15/3/2005 al Circolo della Caccia di Mons. Carlo Caffarra

 

Lo scorso mese il nostro Arcivescovo ha tenuto un discorso su un tema grande, importante, per certi versi scottante e che interessa in più o meno tutti: il concepimento di un figlio.

È quasi assurdo e paradossale che nella stessa società materialistica, dove nei diversi schieramenti di pensiero è così innescata l’idea che l’aborto sia un diritto, in una società dove, sempre in modo trasversale, si parla di diritti della donna gravida (non è il caso di chiamarla madre) quando – se diritto c’è, come c’è – l’unico ad averlo è il nascituro, è paradossale dicevo, che in questo stesso contesto si maturi l’idea del diritto alla procreazione a tutti i costi. Ma forse, non è così strano, dal momento che si parte da un fatto egoistico, e cioè dalla presunzione di scegliere se dare o non dare la vita, se decidere di introdurre un nuovo essere umano in famiglia oppure no. Solo che questo è un concetto da supermercato. Se decido di non volere un figlio, nessuno me lo può imporre, così se decido di volerlo ogni strada è buona, e tanti saluti all’etica, se non alla morale.

Così il figlio non è più il dono atteso e sperato, ma è una ‘cosa’, un ‘oggetto’ che con ogni mezzo mi posso procurare.

Ovviamente, la morale fa parte della coscienza di ciascuno e non è una cosa da imporsi con la legge; è ovvio quindi che in questo bailamme di proposte della scienza, vi sia la necessità di porre degli argini. Ma le leggi sono stupide proprio per i limiti che hanno, il cambiamento dovrebbe avvenire anzitutto nelle coscienze. Ricordo ancora che una volta Mons. Vecchi a questo proposito, disse più o meno questo: non è che se la legge, pur con dei limiti, mi dice che posso abortire è lecito farlo. La legge non mi accusa di omicidio perché per varie distorsioni della scienza prima di un certo periodo il feto non viene considerato un essere umano, ma il cristiano sa qual è la verità. La legge? «Lasa chi fàghen» (lascia che facciano) disse Vecchi, ma tu cristiano, vai per la tua strada.

Allora un figlio è un dono o un diritto? E qual è il confine che determina l’uno o l’altro? Sarà utile riflettere su ciò con le parole dell’Arcivescovo Mons. Caffarra, per capire bene questa differenza che, da sola, spiega l’enigma.

 

«Per “procreazione artificiale” intendo il procedimento teso a porre le condizioni di un concepimento umano prescindendo completamente alla congiunzione sessuale. Esso dunque è una via alternativa (al congiungimento sessuale) in ordine al concepimento di una nuova persona umana. La mia riflessione prende in esame esclusivamente il procedimento in sé e per sé. Tralascio la considerazione e la presa in esame delle circostanze che possono accompagnarlo: produzione di embrioni sovra-numerari; provenienza extra-coniugale dei gameti; o altro ancora. Sono circostanze che possono aggravare il giudizio etico. Mi voglio limitare alla procreazione artificiale in sé e per sé.

Il giudizio morale su una condotta non esige sempre di essere trascritto in termini giuridici. L’ordinamento giuridico positivo non è la codificazione integrale dell’ordine morale. Il principio che deve regolare i loro rapporti è che, come ha insegnato S. Tommaso d’Aquino, il legislatore deve vietare solo quelle azioni il cui divieto è accettabile per la maggioranza e senza il cui divieto sanzionato, la vita associata sarebbe impossibile.

La mia riflessione non sarà di natura etico-giuridica e giuridico-politica, ma esclusivamente etica. Non mi addentrerò quindi per niente nella problematica referendaria. La mia sarà, lo ripeto, una riflessione esclusivamente etica.

 

L’intrinseca ingiustizia della procreazione artificiale.

 

1,1. La decisione di ricorrere alla procreazione artificiale e le azioni poste in essere per realizzarla, configurano un rapporto fra genitore-concepito (in vitro) nel quale il valore di una concreta vita umana viene fatta dipendere dal suo “essere desiderata” ….

1,2. Ma un rapporto fra persone umane costituito in tale modo pone le persone rapportate su un piano di disuguaglianza quanto alla loro dignità.

1,3. Quindi la procreazione artificiale è un atto ingiusto [perché lesivo della fondamentale uguaglianza delle persone umane nella dignità].

 

La vera natura della procreazione artificiale.

 

Che i due sposi che ricorrono alla procreazione artificiale desiderino un figlio è un’ovvietà. Ma, come può succedere, dentro alle ovvietà si nascondono spesso verità profonde.

L’atto sessuale coniugale può essere compiuto dagli sposi col desiderio di avere bambini o a causa del desiderio di avere bambini. Esso però non è definibile come “mezzo per avere bambini”. Quello che i coniugi fanno, quando si uniscono sessualmente, con o senza desiderio esplicito di figli, “si può descrivere intenzionalmente come un reciproco donarsi e precisamente nella totalità del loro essere uomo e donna… L’interiore significato dell’atto coniugale come atto personale trascende il contesto semplicemente naturale di copula e procreazione” [M. Ronheimer, Etica della procreazione, ed. Mursia, Roma 2000, pag. 135]. Ciò trova conferma nel fatto che due coniugi, supposto tutto ciò che deve supporsi, possono evitare di compiere l’atto sessuale quando potrebbe conseguirne un concepimento. Né in quest’ipotesi [atto sessuale compiuto nel periodo infertile] l’atto sessuale coniugale perde significato dal momento che l’intima natura di esso non è configurabile come “mezzo per la procreazione”, anche se naturalmente ne è il mezzo.

Se ora ritorniamo alla procreazione artificiale, noi vediamo subito che le cose stanno in modo diametralmente opposto. L’unica ragione che muove una coppia a ricorrere alla procreazione artificiale è il desiderio di avere figli: non me esiste un’altra. E se dopo vari tentativi, l’effetto desiderato non è ottenuto, nessuna coppia continua a sottoporsi alla procreazione artificiale: l’abbandona. La messa in atto di una procreazione artificiale si configura essenzialmente e quindi necessariamente come realizzazione pura e semplice del desiderio di avere un figlio. Mentre l’atto sessuale coniugale può essere compiuto esclusivamente perché si desidera il figlio, ma esso – come tale – non intenziona semplicemente questo desiderio – ma -  esso intenziona per sé l’amore che unisce i due sposi, quindi la procreazione artificiale è sempre compiuta solo perché si desidera il figlio: essa intenziona semplicemente questo desiderio.

 

Ecco l’intima natura della procreazione artificiale

 

Il figlio è voluto in quanto soddisfa un desiderio: … «È bene che tu venga all’esistenza, perché così il mio desiderio è compiuto!» dice di fatto chi ricorre alla procreazione artificiale. La bontà, il valore dell’esserci di una persona è condizionata dal fatto che un desiderio è soddisfatto: il figlio è un bene perché è desiderato! (E quindi può valere anche il contrario: il figlio è un male quando non è desiderato [= aborto]).

 

La diversità essenziale della procreazione artificiale dall’atto sessuale coniugale.

 

Poiché esso nella sua intenzionalità non è «mezzo di procreazione» anche quando compiuto col desiderio del figlio, questi – una volta compiuto l’atto coniugale – può essere solo atteso/non atteso, ma non si fa dipendere il valore della sua vita dall’essere egli desiderato o non desiderato. Chi ricorre alla procreazione artificiale vuole «fare-produrre» la vita di un figlio; chi compie l’atto coniugale vuole/può volere «servire alla vita»: chi la «produce» [= crea] è solo Dio.

…La decisione di ricorrere alla procreazione artificiale e le azioni poste in essere per realizzarla configurano un rapporto genitori-figlio nel quale la bontà, il valore di una concreta vita umana viene fatta dipendere dal suo essere desiderata.

1,2. Devo ora dimostrare che un rapporto di questa natura è intrinsecamente ingiusto. Dal punto di vista del figlio prodotto da una procreazione artificiale, questi può dire, … ai suoi genitori: “io ci sono perché mi avete voluto! La mia esistenza dipende dalla vostra volontà!”. Si pone cioè un rapporto di dipendenza causale perché è una dipendenza sul piano dell’esserci.

Questo non è vero dal punto di vista del figlio generato in un rapporto sessuale coniugale. Il figlio, può solo dire: “Io esisto perché mi avete atteso!”. Ora l’attesa da sola non istituisce un rapporto causale fra chi attende e la realtà attesa: attendere non è avere! Ed il figlio deve continuare, dicendo “…e Dio ha compiuto la vostra attesa!”. Cioè: l’esserci della nuova persona è dovuto esclusivamente alla volontà di Dio. E pertanto solo di fronte al Dio egli ne dovrà rendere conto.

Possiamo esprimere la stessa verità in altro modo. La procreazione artificiale si configura come produzione di una persona umana, e la produzione istituisce sempre un rapporto di dipendenza del prodotto dal produttore. L’atto sessuale coniugale invece si configura come generazione di una persona umana, e la generazione istituisce sempre un rapporto di uguaglianza nella dignità della partecipazione alla stessa natura.

In sostanza …l’intima ingiustizia della procreazione artificiale – sta - nel fatto che il valore di una persona dipenda dal riconoscimento dello stesso valore da parte di un’altra.

La procreazione artificiale è lesiva della dignità della persone perché la condiziona al riconoscimento degli altri. Nega cioè nei fatti che ogni vita umana è un bene in sé, attribuendo valore solo la vita umana «desiderata».

E pertanto si infrange il precetto fondamentale della giustizia: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te. Nessuno vuole che il valore della propria vita dipenda dal fatto che essa soddisfi il desiderio di altri: vuole che sia riconosciuta incondizionatamente.»

 

Risposta alle obiezioni.

 

«La tesi sostenuta, affermando l’intrinseca ingiustizia della procreazione artificiale, nega perciò stesso che ci possano mai essere circostanze nelle quali sia eticamente lecita.»

… È vero che – continua l’Arcivescovo - «la causa dell’esserci di una persona è l’atto creativo di Dio, sempre e comunque (anche in caso di procreazione artificiale). Ma il problema è un altro. Poiché la venuta all’esistenza di una nuova persona umana è il risultato di una cooperazione fra Dio e i genitori, ci chiediamo: di che natura deve essere la decisione (e l’attività che la realizza), di cooperare con Dio creatore? Non si può rispondere: è eticamente indifferente l’attività umana che coopera con Dio creatore. Quella che si realizza nella procreazione artificiale si mostra essere un’attività che pone in essere un rapporto sbagliato col concepito, perché lo riduce ad essere oggetto di desiderio e viene valutato in quanto tale.»

Qualcuno obietta che il bambino ottenuto in vitro, è accolto con pienezza di amore e con pieno rispetto della sua dignità, ma se ciò è possibile, spiega Caffarra, non cambia nulla perché «è sempre possibile passare da un rapporto ingiusto con una persona ad un rapporto giusto. Il problema è un altro: l’attività di dare origine alla persona umana quale si attua nella procreazione artificiale istituisce un rapporto giusto? Non si sta trattando di tutta l’estensione del rapporto genitori-figlio, ma solo del rapporto che si istituisce coll’attività che pone le condizioni del suo essere concepito. È questa la domanda. …»

Ancora alcuni obiettano che anche nella procreazione naturale può configurarsi lo stesso meccanismo, cioè compiere l’atto sessuale esclusivamente per il desiderio di avere un figlio. A questo punto l’unica differenza negativa sta nel fatto che uno è un sistema naturale ed uno è artificiale. Ma, spiega Caffarra «Concediamo subito che l’artificialità della procedura da sé sola non dice nulla dal punto di vista morale.

Concediamo che anche all’interno della coppia può configurarsi una situazione come quella descritta, ma proprio dalla considerazione di questa possibilità nasce l’errore in cui cade l’obiettore. Egli da questa possibilità deduce la legittimità della procreazione artificiale» - ma - «come è ingiusta la procreazione artificiale (per tutto quanto detto sinora), così anche il rapporto coniugale quando fosse ridotto a puro mezzo per soddisfare il desiderio di avere un bambino, è per la stessa ragione ingiusto. … E ancora «Mentre l’atto sessuale coniugale può essere deformato da un rapporto sbagliato alla procreazione che ne può conseguire, la procreazione artificiale è in se stessa e per se stessa necessariamente ingiusta in quanto l’unica ragione per cui si ricorre alla procreazione artificiale è esclusivamente quella di soddisfare il desiderio dei figli. La funzionalizzazione al soddisfacimento del desiderio può accadere nel rapporto coniugale; non può non accadere nella procreazione artificiale: questa è la diversità essenziale.»

il desiderio di avere un figlio è un desiderio legittimo, ma non ogni modo di soddisfarlo è giusto. Solo la modalità che non ponga il figlio al servizio di altri, sia pure del desiderio dei genitori.

 

Conclusione

 

La riflessione che abbiamo fatto è in fondo generata da una grande certezza: quella della dignità incondizionata di ogni persona umana. La vera posta in gioco è la seguente, in tutta la questione della procreazione artificiale: può esistere una persona umana cui non debba essere riconosciuta una dignità incondizionata? Il futuro della nostra civiltà dipende dalla risposta che diamo a questa domanda.