SCIENZA E FEDE

di Massimo Craboledda

 

Riprendiamo l’affascinante tema dell’origine della vita dal punto in cui l’abbiamo interrotto il mese scorso. Si è detto che (con l’eccezione della vita spirituale dell’uomo, non riducibile all’ordine della natura) per la nostra fede non c’è differenza fra le ipotesi che Dio abbia creato direttamente un organismo vivente o che abbia dato alla materia inerte struttura e leggi perché, a partire da essa, tale organismo si possa costituire attraverso un processo di evoluzione.

"Tutta la Bibbia è illuminata dall’idea che il Dio d’Israele sovrasta e domina dall’inizio tutti gli elementi dell’universo, senza essere mai condizionato da niente e da nessuno nella sua azione sul mondo" (dalle lezioni di teologia del Card. G. Biffi). All’autore sacro interessa proclamare con forza che Dio è l’unico creatore, dal nulla, di tutti gli esseri viventi e di tutte le realtà inanimate, poiché questo è l’insegnamento che dà sapienza all’uomo e ne orienta le opzioni morali. Come poi, di fatto, Egli abbia esercitato la sua azione creatrice, come sia comparsa la vita, attraverso quale cammino si sia giunti all’homo sapiens, non è questione che interessi la Bibbia: essa, perciò, ne parla in termini di altissima poesia (ad esempio, nei capitoli 38 e 39 del libro di Giobbe), con ricchezza di immagini, secondo la cultura delle civiltà medio-orientali del tempo. Che Dio sia il creatore, che tutto l’universo risponda ad un suo preciso disegno è un fatto talmente evidente per l’autore sacro da non richiedere alcuna dimostrazione o elaborazione filosofica: è sufficiente contemplare lo spettacolo della natura, la fedeltà ricorrente dei suoi cicli, la straordinaria concomitanza dei fattori che permettono la vita e la sua conservazione, per sorridere all’idea che tutto questo sia il frutto di coincidenze tanto fortuite quanto fortunate. Gioverà ricordare ancora una volta che S. Paolo chiama "inescusabili" (Rm 1,21) coloro che dalla perfezione del creato non sanno risalire alle "invisibili perfezioni" di Dio.

Quale distanza fra la serena certezza delle pagine bibliche e l’arido scetticismo di tanti libri di divulgazione scientifica, anche di autori prestigiosi, purtroppo ideologicamente orientati, che elevano un inno alla casualità: il caso (e, perciò, la mancanza di un disegno preordinato) assurge al ruolo di involontario autore della vita. A partire dagli anni venti del secolo scorso, da quando, cioè, attraverso quella feconda branca della fisica che è la meccanica quantistica, si è potuto dare una spiegazione coerente e sperimentalmente verificata di molti aspetti del mondo subatomico, la casualità ha assunto per gli scienziati un ruolo di primo piano. Sembra, infatti, che al livello più elementare della struttura della materia l’indeterminatezza giochi un ruolo ineliminabile, intrinseco ai fenomeni stessi. Non potendo addentrarci in questa discussione, ci limitiamo ad osservare che questo aspetto svanisce a livello macroscopico, dove è verificabile l’esistenza di leggi rigorose e che, anche chi è affascinato dalla casualità, è costretto ad ammettere l’esistenza di leggi probabilistiche. Inoltre egli dovrà pur riconoscere che il caso non esiste in sé, ma, eventualmente, soltanto in relazione a una struttura, un sistema o un processo che in qualche modo lo limita: il caso, ad esempio, non abolisce mai la forma del dado, non farà mai uscire un "7". Allo stesso modo, nell’evolversi della vita, esistono delle costrizioni di ordine biologico che influenzano considerevolmente le possibili mutazioni, ovvero la presunta opera del caso.

Ma lasciamo questo per recuperare il senso cristiano del nostro tema. Certamente anche noi dobbiamo ammettere l’esistenza di una contingenza, il fatto che avvenimenti, anche decisivi, paiono talvolta provocati o resi possibili da circostanze accidentali. Chi non ricorda quel celebre "pensiero" di Pascal secondo il quale se il naso di Cleopatra fosse stato più corto tutta la storia sulla terra sarebbe cambiata? Così, quando ci accorgiamo che ogni mutamento, ad ogni passo lungo il cammino, avrebbe potuto indirizzare gli eventi in una diversa direzione, ci rendiamo ben conto del potere causale degli accadimenti stessi. La realtà storica o biologica avrebbe potuto essere benissimo diversa da quella che noi oggi constatiamo: dunque è certo fuori luogo parlare di "necessità" degli eventi. D’altro canto l’opzione del caso è l’opzione dell’assurdo. Dice ancora il Card. G. Biffi nelle citate lezioni di teologia: "Se tutto è dovuto al caso, tutto nell’avventura e nei comportamenti umani perde di ragionevolezza e di senso: non si vede perché si debbano introdurre intelligenza e volontà in una vicenda che è iniziata, prosegue e andrà a concludersi senza che alcuna intelligenza e alcuna volontà sia entrata in gioco." Dunque, né caso, né necessità. La nostra fede ci offre la terza opzione: la Provvidenza, il riconoscere l’esistenza di un Dio Provvidente che, senza limitare in alcun modo la nostra libertà e senza eliminare dalla realtà storica, biologica, ambientale contingenza e accidentalità, si apre la via per realizzare un progetto. Così ciò che alla nostra povera capacità conoscitiva appare frutto di casualità o di scelte arbitrarie è da Lui permesso, ripreso e guidato ad un fine che resta a noi misterioso e che solo a posteriori possiamo, a volte, riconoscere e contemplare. "Il Padre mio opera sempre, e anch’io opero" (Gv 5,17) dice Gesù. Così è per l’origine e l’evoluzione della vita. La biologia è ricca di esempi, viventi o fossili, che ci lasciano intravedere direttamente (attraverso, ad esempio, specie estinte per le più varie ragioni) o indirettamente (attraverso forme appena abbozzate) che l’evoluzione avrebbe potuto prendere strade diverse. Ma già dicemmo che l’ipotesi del caso urta pesantemente contro leggi probabilistiche, tanto sono complesse e particolari le strutture che sostengono la vita. Noi, perciò, confessiamo Dio creatore, gli riconosciamo ogni libertà nella Sua azione creatrice, lo adoriamo grati per aver posto la Sua onnipotenza al servizio di una Provvidenza d’amore.

Certo questo significa accettare il mistero, ma è una scelta assai più razionale che accettare l’assurdo. E poi, fra tanta supponenza di un esasperato scientismo, non sarà male ricordare, ogni tanto, i versi di Dante (Purg. 3, 37 ss):

"State contenti, umana gente, al quia

ché, se possuto aveste veder tutto,

mestier non era parturir Maria."