TELEVISIONANDO

(L’OPINIONE DI UN TELEUTENTE)

di Alberto Cevenini

In questa stagione televisiva così piatta e rassegnata al conformismo (dove a far notizia sono soprattutto le epurazioni eccellenti e le censure velate) è ancora da RAI TRE che giungono le iniziative più interessanti e coraggiose. In particolare la terza rete merita un plauso per averci riproposto "PAROLA MIA" (da lunedì a venerdì, ore 13.10 circa).

Resuscitata dopo 15 anni di assenza, questa trasmissione ha mantenuto invariata la formula - una giusta mescolanza di divulgazione e intrattenimento - che ne aveva decretato il successo di pubblico e critica.

"PAROLA MIA" è un gioco sulla lingua italiana, campo di battaglia sul quale si sfidano in ogni puntata due studenti universitari attorniati da una platea di giovani. Come spesso avviene per le idee valide, il meccanismo della gara è assai semplice. Nella prima parte (denominata "conoscere l'italiano: gli orali") è mostrato un filmato tratto dagli archivi RAI, indi un personaggio famoso legge un brano di un’opera letteraria, infine viene data una scorsa ai titoli delle prime pagine di alcuni giornali: al termine di ciascuno di questi spunti i conduttori rivolgono ai concorrenti una serie di domande sull'etimologia, il significato, la provenienza od i sinonimi di alcune parole del nostro linguaggio corrente. In base alla correttezza delle risposte il giudice di gara assegna un punteggio a mo’ di voto.

Nella seconda parte (denominata "usare l'italiano: gli scritti") gli sfidanti devono essere in grado, in soli 10 minuti e 10 righe, di scrivere al computer un componimento sull’argomento della puntata: può trattarsi del classico "temino" ma a volte può essere chiesta l’ideazione di una poesia di un testo teatrale, di un racconto o di una campagna pubblicitaria. Pure in questo caso il giudice di gara attribuisce dei voti agli elaborati. Diviene campione chi, al termine, ha totalizzato il punteggio più alto. Al vincitore non vanno i soliti facili milioni dei soliti telequiz ma – udite! udite! - TANTI BUONI LIBRI: un premio decisamente eversivo se si pensa che, statistiche alla mano, l’Italia è il paese europeo dove si legge di meno dopo la Grecia. A proposito della sfida ci sono due cose da osservare. La prima è la palpabile emozione di non pochi concorrenti che, alle prese con le prove orali, s’impappinano o "s’incartano" nelle risposte: ciò ricorda il clima della scuola quando capitava di non esser molto preparati per un’interrogazione. La seconda cosa da notare è la bravura degli sfidanti nelle prove scritte: malgrado lo scarso tempo e la difficoltà dei temi, essi riescono ad esprimere in un italiano elegante riflessioni assai profonde.

Molto del successo di "PAROLA MIA" dipende dai suoi animatori a cominciare da LUCIANO RISPOLI che da sempre ne è l’ideatore e il conduttore. Caratteristica è la sua voce nasale tanto apprezzata dagli imitatori. Assiste rispoli la simpatica CHIARA GAMBERALE ed anche qui il programma va controcorrente: non la solita valletta silente buona giusto per i calendari, ma una persona dotata di favella e intelligente (la Gamberale è una scrittrice).

Buon ultimo è il Professor GIAN LUIGI BECCARIA (forse discendente di quel Cesare Beccaria autore nel secolo dei lumi del trattato "Dei delitti e delle pene"?). Tra i massimi studiosi della lingua italiana egli è il giudice di gara: amabilissimo mai cattedratico, Beccaria è in realtà il vero protagonista di questo appuntamento. Tra l’altro egli gestisce una rubrica al centro del programma dove parla a ruota libera di ogni aspetto del nostro patrio idioma. Si rimane incantati ad ascoltarlo in questo suo breve spazio: parole difficili, arcaismi, neologismi, regionalismi, anacoluti, litote sineddoche, traslitterazioni e pleonasmi cessano di costituire la fredda digressione di un illustre accademico, per divenire parte viva del monologo di un attore brillante. Beccaria è il professore d’italiano che tutti noi vorremmo avere.

Acuta e condivisibile è poi l’iniziativa del professore di cestinare simbolicamente in ogni puntata un termine del burocratese, quel famigerato e pesante linguaggio che troppo spesso ci complica la vita. Qualche esempio: perchè scrivere "aviolinee" ed "aeromobili" anzichè, più semplicemente, "linee aeree" ed "aeroplani"? Perchè i mass-media usano i verbi "tracimare" ed "esondare" a proposito dei fiumi? Non sarebbe più chiaro se annunciassero che "sono straripati"? Che dire poi dei "ritocchi alle tariffe" e degli "eccessi di manodopera disponibile"? Sarebbe meglio essere schietti e parlare di "aumenti dei prezzi" e di "disoccupati"? E il "supporto cartaceo" cos’è in realtà se non un banale "testo" o "foglio"? Leggere sull’autobus che un posto è riservato a "minorati non deambulanti" significa soltanto che esso spetta "a chi non può camminare" Ed infine che ne pensate di un testo ove compare la frase "un organico collegamento interdisciplinare ad una prassi di lavoro di gruppo" Per Beccaria è solo "un’inutile, ridondante vuotaggine".

Con questa trasmissione istruttiva e colta eppur agile e vivace (anche grazie all’apporto di numerosi ospiti), RAI TRE si conferma il canale di Stato meglio in grado d'interpretare il sue ruolo istituzionale di servizio pubblico. Meno assillata dallo spauracchio dell’AUDITEL, la terza rete - proprio come la vecchia RAI bernabeiana in bianco e nero - può puntare maggiormente sulla qualità.

Peccato per il periodo di messa in onda: anzitutto a quell’ora c’è la forte concorrenza dei telegiornali, ma poi, soprattutto, si ha la sgradevole sensazione che i conduttori debbano andare molta in fretta per non "sforare", dato il poco tempo a disposizione. A questo punto non mi resta che ricordare il celebre motto di chiusura d’ogni puntata di "PAROLA MIA": "La televisione è la televisione ma un buon libro è sempre un buon libro": parola di Rispoli, del professor Beccaria e (più modestamente) anche mia.