IL GIORNO DELLA PRIMA COMUNIONE

di Serena Polombito

Arrivano alla spicciolata i trentatré bambini che stanno per ricevere la Prima Comunione; qualcuno con largo anticipo, perché, preso dall’ansia e dall’emozione che l’hanno tenuto sveglio lunga parte della notte, ha costretto papà e mamma ad accompagnarlo in chiesa appena possibile; qualcun altro all’ultimo momento, perché più tranquillo per carattere, o perché obbligato da fatti contingenti, ma tutti con uguale entusiasmo, seppure con l’animo diversamente turbato dall’attesa del grande incontro, vanno a formare gioiosa corona ai piedi dell’altare.

? impossibile non commuoversi guardando quei visini illuminati da una particolarissima luce interiore, che traspare sotto pelle nel pallore o nel rossore delle gote, nella lucentezza degli occhi trepidi e inevitabilmente…..si rimane contagiati: è la forza della Grazia, invisibile, ma potente, che i bambini ricevono abbondantemente attraverso il Sacramento, prima della Confessione, poi dell’Eucaristia, e che dai bambini emana e si propaga. Infatti sono molti i papà, le mamme e i nonni commossi, che vivono intensamente l’esperienza dei loro piccoli e ne condividono le emozioni, ne sono testimonianza atteggiamenti di viva partecipazione, occhi lucidi o lacrime che liberamente rigano alcuni volti.

Non tutti, però, purtroppo, si lasciano coinvolgere dall’importanza e dalla solennità dell’avvenimento. Così succede che il cicaleccio, durante la celebrazione, vada via via aumentando, che qualcuno risponda inopportunamente al trillo del cellulare e qualcun altro scatti foto, nonostante il cortese invito a non farlo; ride forte un giovane signore (un papà?) molto divertito, chissà perché, da come i bambini aprono la bocca per ricevere l’Ostia, se provasse solo ad immaginare i pensieri di quei bambini, forse un diverso sorriso gli spunterebbe sulle labbra.

Non sono del parere che certuni farebbero meglio ad aspettare fuori dalla Chiesa la fine della cerimonia, perché penso sempre che il Signore possa servirsi anche di una sola parola, udita magari per caso, per cambiare il cuore degli uomini, ma mi sembrerebbe più giusto ed anche più educato, da parte di chi in Chiesa entra, mostrare almeno rispetto per il luogo, per il Padrone di casa, per il Rito Sacro e per chi lo celebra e un pochino anche per chi prega e vorrebbe riuscire a concentrarsi.

Per esempio: chi arriva in ritardo, a celebrazione già iniziata, non sarebbe meglio che ne aspettasse la fine, per salutare parenti e amici?

Non intendo esprimere giudizi, che non mi competono, ma soltanto rilevare che il contrasto tra il raccoglimento dovuto in una celebrazione così solenne e quello effettivo, è talmente forte, che obbliga alla riflessione. Viene spontaneo domandarsi perché tante persone che certamente, a loro tempo, vissero con la stessa emozione il giorno della loro prima Comunione, possano oggi presenziare con tanta apparente superficialità.

Colpa di esperienze tristi che hanno soffocato gli slanci sinceri del cuore?

Colpa di una cultura materialistica che ha inaridito i pensieri?

Colpa di un ritmo di vita così incalzante da negare tempo e spazio alla spiritualità?

Cosa può far sì che, in una chiesa ricolma di persone, non sia l’ordinata recita della preghiera a prevalere, ma l’indistinto brusio di chiacchiere fuori luogo?

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Il giorno della seconda Comunione, all’inizio di una celebrazione comunque solenne, ma molto più privata, nel silenzio raccolto di una Chiesa riempita solo per metà, dai parenti più stretti dei comunicandi, Don Carlo sottolinea, sorridendo, come sia più giusta e più bella quell’

atmosfera non disturbata, come la domenica precedente, da…."chi pregava con voce troppo alta"…. E così scivola nell’ironia un velato rimprovero che chi vorrà, potrà raccogliere e meditare.

A tutti gli altri rimarrà negli occhi e nel cuore, la visione di quei bimbi con le mani giunte e lo sguardo rivolto a Gesù Eucaristia: immagine emblematica di un amore-dono puro e assoluto.