Dalla nostra ”inviata” in Kosovo

Kosovo: una storia

di Francesca Citossi*

 

Gli Albanesi (ora circa il 90% della popolazione, Musulmani) sostengono di essere gli abitanti originali del Kosovo, perché discendenti degli Illiri. I Serbi (circa l’8% della popolazione, cristiano-ortodossi) dicono che questo territorio sia il cuore del regno medioevale e, posto che ce ne fossero, gli Albanesi erano pochi tra di loro.

Il 28 giugno 1389, secondo la storia classica Serba, il Principe Lazar combatté per proteggere la terra dei 200 monasteri dall’Emiro Murad nella zona ora chiamata Kosovo Polje (sulla strada tra Pristina, la capitale, e l’aeroporto di Slatina)che con i suoi Turchi Ottomani cercava di invadere l’Europa. La battaglia fu perduta, ma la morte del Principe fu celebrata come un glorioso sacrificio e i Turchi furono fermati solo 300 ani più tardi quando arrivarono alle porte di Vienna. Gli storici moderni hanno dei dubbi sulla Battaglia del Kosovo, ma si sa che alcuni contingenti di Albanesi e Bosniaci battagliarono dalla parte dei Serbi, e che alcuni contingenti Serbi si schierarono con i Turchi. In ogni caso il ricordo/leggenda di questo evento è sempre stato un’arma utilizzata dai Serbi per la rivendicazione del Kosovo, portata agli estremi nazionalistici nel secolo scorso.

Nel 1459 tutta la Serbia, incluso il Kosovo, cadde sotto dominazione Turca e l’equilibrio fra le popolazioni cambiò. La popolazione Serba migrò verso la Bosnia, nelle terre austro-ungariche. Dal 1689 cominciarono ad emigrare in massa nelle fertili terre Kosovare Albanesi Musulmani per sfuggire alle ostili montagne dell’Albania.

Nel 1878 si costituì il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (con continue tensioni tra di loro), ma il Kosovo rimase sotto dominazione Turco-Ottomana.

Nel 1912 la Serbia ed altri stati balcanici si allearono per scacciare i Turchi. Per i Serbi del Kosovo l’arrivo dell’esercito Serbo fu una liberazione mentre per gli Albanesi del Kosovo, oramai la maggioranza nella regione, un’invasione costellata di massacri ed espulsioni.

Nel 1914 l’Impero Austro-Ungarico, che governava la Bosnia, spedì l’Imperatore Francesco Ferdinando per risolvere la situazione: egli sosteneva l’idea di un’alleanza degli Slavi del sud contro l’espansionismo serbo. Una pallottola a Sarajevo pose fine all’idea e alla sua vita, e diede inizio alla Prima Guerra Mondiale. Durante la guerra gli Albanesi si presero la loro rivincita per le violenze del 1912, ma nel 1918 l’esercito dell’ormai Yugoslavia ritornò. Tra le due guerre i Serbi cercarono di riguadagnare la superiorità numerica con vari insediamenti-le rivolte e i disordini degli Albanesi erano continui. Nel 1941 gran parte del Kosovo cadde sotto controllo italiano e molte migliaia di Serbi fuggirono. Il partito del Maresciallo Tito promise agli Albanesi del Kosovo di unificarli all’Albania una volta terminate le ostilità. Non accadde mai, e le autorità  iugoslave lottarono costantemente con i ribelli Albanesi del Kosovo. La provincia rimase sotto il tallone del governo centrale fino al 1974, quando le fu garantita una estrema autonomia, quasi come alle altre 6 repubbliche. Da questo punto in poi i Serbi del Kosovo cominciarono ad esprimere malcontento per il trattamento subito, spaventati dallo sbilanciamento demografico: un Serbo ogni 9 Albanesi. La prima massiccia ribellione popolare indipendentista scoppiò nel 1981, alla morte del Maresciallo Tito, e fu repressa coi carri armati.

Manipolando leggende, rancori e interessi Slobodan Milosevic fece la sua scalata al potere e nel 1989 tolse l’autonomia al Kosovo-a quel punto però l’intera Yugoslavia stava cominciando a collassare. I Kosovari Albanesi, sotto la leadership del presidente Rugova (tuttora in carica) cominciarono un’opposizione non violenta dichiarando l’indipendenza e inventandosi strutture parallele mono-etniche: scuole, assemblee, organizzazioni. Nel 1996 emerse l’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), pronto a prendere le armi contro i Serbi poiché l’attendismo e la violenza di Rugova avevano provocato vastissima insoddisfazione. L’UCK agì con intimidazioni, rapimenti, ricatti e atti di terrorismo. Il conflitto si esacerbò quando l’esercito di Belgrado cominciò a scacciare in massa i civili Albanesi, ormai rifugiati in fuga verso Macedonia, Grecia, Montenegro, per epurare il Kosovo e renderlo Serbo. Sono mezzo milione i profughi, 2000 i morti e centinaia i desaparecidos. I bombardamenti della NATO cominciarono nel Marzo 1999 (il 24 Marzo è ora celebrato come “Giorno delle Speranza”) e cessarono al ritiro dell’esercito Serbo in Giugno. Da allora le Nazioni Unite hanno stabilito una Amministrazione ad Interim (UNMIK). La NATO ha inviato KFOR, una coalizione multinazionale di eserciti per mantenere l’ordine. Lo status final del Kosovo, che gli Albanesi Kosovari si augurano sia l’indipendenza, sarà deciso tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006.

Oggi, Maggio 2005, cos’è il Kosovo? È grande come l’Umbria, con 2 milioni di abitanti, il 50% ha meno di 20 anni. È il 60-70% di disoccupazione. Il lavoro è per la maggior parte in nero, enorme la quantità di traffico illegale di armi, stupefacenti ed esseri umani. Non ci sono infrastrutture, l’acqua e la luce vanno e vengono in città, in alcuni villaggi, e soprattutto nelle enclaves serbe, non ci sono mai per mesi. L’inverno è rigido, i bambini vengono scortati a scuola dalle truppe KFOR, altrimenti si rimane nell’apartheid senza lavoro, senza medico, senza una casa decente in una prigione senza sbarre. Le altre minoranze, Rom, Ashkali, Turchi, Egiziani, Bosniaci, se la passano meno peggio ma bene non stanno. Belgrado tempesta Pristina di propaganda politica incitando i Serbi del Kosovo a non partecipare all’attività politica e a boicottare tutti i tentativi di pacificazione. Vecchi e bambini siedono sporchi e senza abiti sui marciapiedi della capitale chiedendo l’elemosina. Le pensioni, se ci sono, variano tra i 25 e i 60 Euro al mese. Prima dei bombardamenti alcuni Serbi e Albanesi erano buoni vicini per anni, ora non siedono nemmeno nello stesso bar e si guardano in cagnesco. Fino a 5 anni fa si sparavano per la strada se sentivano parlare la lingua dell’altro. Si rimpallano accuse l’un l’altro, su chi ha ammazzato di più, su tutti i morti ancora non restituiti e le violenze commesse. Ogni tanto vengono rimpatriati resti mortali, o scoperte nuove fosse comuni  (2 negli ultimi 2 mesi). È una catena senza fine, uno stillicidio di recriminazioni, una gara a chi ha sofferto di più e quindi ha più diritto ora ad abusare dell’altro. KFOR protegge le enclaves Serbe e gli antichi monasteri ortodossi che non sono stati dati alle fiamme: scheletri bruciati, filo spinato, case distrutte, i segni della guerra sono ovunque. Le mine sono ancora sparse in giro, chissà fino a quando. L’uranio impoverito dei bombardamenti è sul 70% del Kosovo, quanto ci stiamo intossicando? Ci sono distese di viti a Gjakove/Djacovica (tutto va indicato col nome Albanese e quello Serbo) come villaggi seppelliti dalla spazzatura, le pitta sono cresciute come brutti funghi di cemento ingoiandosi tutto il verde.

Il Kosovo è un mostro a 3 teste: legalmente parte della Serbia-Montenegro, amministrato dalle Nazioni Unite che stanno passando le competenze al Governo Provvisorio Kosovaro.

Slobodan Milosevic e Ramush Haradinaj (ex Primo Ministro del Kosovo, prima ancora uno dei capi dell’Esercito di Liberazione del Kosovo) sono tutti e due al Tribunale dell’Aja per rispondere di crimini contro l’umanità. Quanto saranno lontane le loro celle? Ho incontrato il Primo Ministro Haradinaj più volte e non ho potuto fare a meno di chiedermi se stavo stringendo la mano a un uomo veramente colpevole di quei 34 capi d’accusa tra cui stupri e omicidi di massa.

Chi è innocente in tutta questa drammatica storia scagli la prima pietra.

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N.B. - "Francesca Citossi lavora presso l'Amministrazione ad Interim delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), Pristina" Le opinioni espresse dall’autore sono da considerarsi esclusivamente personali e in nessun modo attribuibili alle Nazioni Unite o all’amministrazione UNMIK.