RADICI CRISTIANE

 

di Massimo Craboledda

Prima di tutto una buona notizia: a nessuno è richiesto di cambiare il mondo da solo. A questo c’è chi pensa: il Signore della storia, nell’intreccio delle vicende umane, sa tirare le fila di un disegno di salvezza ed il suo regno, come il lievito nella farina (Mt 13,33) invisibilmente opera. Chi non ricorda il 1989? Un impero monolitico, granitico, che pareva immutabile ed inattaccabile si è dissolto in pochi giorni, aprendo scenari impensabili.

D’altra parte il cristiano non può disinteressarsi del mondo. In verità, il concetto di "mondo" nel Nuovo Testamento è ambivalente. Nell’accezione negativa esso è quella realtà di cui il demonio è detto "il principe" (Gv 12,31), un concentrato di odio verso il Cristo: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15,18), quel mondo per cui Gesù si è rifiutato di pregare: "Io non prego per il mondo" (Gv 17,9). Esso va disprezzato e fuggito, memori dell’esortazione dell’apostolo Giacomo: "Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?" (Gc 4,4).

Ma il mondo è anche la realtà che Dio ha amato tanto da sacrificare il proprio Figlio (Gv 3,16) e per la vita della quale Gesù dà la propria carne (Gv 6,51). Riguardato, allora, come opera uscita dalle mani di Dio, il mondo è fonte di contemplazione, scala che eleva dalla bellezza visibile alla perfezione invisibile del Creatore; inteso come umanità decaduta, sofferente ma anelante alla salvezza, destinataria dell’amore eterno del Padre e della redenzione del Figlio, diviene oggetto di preghiera e di impegno perché ogni ambito sia raggiunto e animato dalla Parola che salva. E’ la grande scommessa del concilio Vaticano II: non una Chiesa chiusa, arroccata, quasi assediata da un mondo che segue strade divergenti, ma una Chiesa aperta che "cammina insieme con l’umanità tutta …ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana" (Gaudium et spes, 40). A tal fine, dice ancora il Concilio (Gaudium et spes, 62f): "I fedeli …vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire". Il nostro impegno è, dunque, nella concretezza del "qui" e "ora", dell’oggi e della realtà che ci è vicina, non importa se piccola e negletta, perché mai è insignificante.

Queste riflessioni ed i testi citati costituiscono il fondamento e la motivazione anche per l’attività politica del cristiano. Posto che essa non coincide con l’adesione a un partito, è importante che si radichi la cultura che fa oggetto della politica il bene comune della propria città, del proprio Paese, dell’intero consesso delle nazioni, visti non come realtà conflittuali ma come un unico, globale progetto di bene. Chiunque, nella famiglia, nella scuola, nei luoghi di lavoro si impegna a diffondere e a sostenere questa cultura, a formare una mentalità critica verso le ideologie, compie già una fondamentale azione politica. E lo stesso dicasi per ogni attività svolta con spirito di servizio per il bene e la promozione umana dell’ambiente in cui si è inseriti, bene che si dilaterà, sovente senza che se ne abbia percezione, ad arricchire realtà più vaste. Si recupera, in questa prospettiva, l’originaria, forte connotazione morale della politica (per Aristotele essa è parte dell’etica, è dottrina della morale sociale), completandola con lo specifico, tutto cristiano, della nozione di servizio compiuto con amore e per amore.

Quanto alle attività che più direttamente ineriscono l’amministrazione e il governo della "res publica", non tutti, evidentemente, sono chiamati ad un coinvolgimento diretto in ambito partitico, sindacale o economico, ma un certo livello di partecipazione alla formazione delle decisioni è diritto e dovere di tutti.

Quanto al diritto, non si può non ricordare in tema di radici cristiane, che la democrazia, sistema che garantisce il massimo di partecipazione, trova nel cristianesimo una profonda ispirazione. Il cristianesimo, infatti, valorizza al sommo grado ogni persona, senza distinzione di sesso, di cultura, di censo e si preoccupa che ad ognuno siano garantiti i mezzi per realizzarsi come persona libera e consapevole: proprio nella partecipazione l’uomo può affermare la propria dignità e libertà. Non è un caso se i regimi autenticamente democratici sono sorti e si sono affermati dove la civiltà cristiana ha esercitato efficacemente il suo influsso.

Ed è la cultura cristiana che, ancorando la democrazia non all’arbitrio della maggioranza ma alla verità intorno all’uomo e alla sapienza della legge naturale, la preserva dalla corruzione del relativismo etico e dalle conseguenti derive. Ammonisce Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus (n° 46). "Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondente alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia".

Ma torniamo al dovere della partecipazione, non dimenticando che si approssima una stagione di appuntamenti elettorali. Deve esprimersi in esso sia l’impegno personale in difesa della verità, presupposto primo del bene comune di cui nessuno, proprio perché parte di una comunità, può disinteressarsi, sia l’appoggio a quelle formazioni che abbiano nel loro programma (ed abbiano dimostrato in concreto di sostenere) i valori che dalla verità discendono e sono costitutivi della dignità della persona. Sì, non dobbiamo cambiare il mondo da soli, ma il nostro mattoncino non deve mancare.