GIOCARE È UNA COSA SERIA

di Serena Polombito

Il gioco, per i bambini, non ha lo scopo di far passare il tempo in modo divertente, ma principalmente quello di aiutarli a crescere sviluppando fantasia, creatività, manualità e soprattutto la capacità di ragionare, ovvio che tutto ciò deve avvenire attraverso una forma di divertimento, perché altrimenti il bambino non vi si applicherebbe, ma è universalmente risaputo che il gioco, per il bambino, è un vero e proprio lavoro. Il bambino non può rendersene conto, ma chi ha l’occasione di osservare il gioco di un piccolino, può notare che l’impegno, l’attenzione e la serietà che vi dedica sono assoluti e tali da farlo piangere quando non riesce nel suo intento, o da procurare il suo riso gioioso quando, viceversa, raggiunge il suo scopo.

Crescendo l’età del bambino, anche il suo gioco si evolve, ma non per questo perde la sua funzione psicopedagogica; in età scolare infatti, i giochi servono ai bambini per imitare il mondo degli adulti e scoprire le attitudini personali ed i ruoli che sono loro più congeniali. Bambole e morbidi animaletti di peluche servono invece a sviluppare le capacità affettive dei bambini, con essi si misureranno come genitori, si inventeranno nuovi fratelli, compenseranno solitudini o paure, attribuiranno a questi personaggi, che la loro fantasia rende veri, i loro sentimenti e i loro pensieri.

"Sei fortunato" diceva una bimba al gattino di peluche ricevuto a Natale, deponendolo con amore nella carrozzina della bambola di sua sorella (che per fortuna dormiva) "sei capitato in una famiglia, dove ci sono tante persone che si occuperanno di te." Quella bimba fortunata, che può sentire attorno a sé una famiglia in cui tutti si occupano e si preoccupano di tutti, in quel momento e con quelle parole, rendeva partecipe il suo gattino della sua serenità e si esercitava, a sua volta, ad occuparsi di lui, figura di altri, di cui , da grande, sarà capace di prendersi cura.

Guai, se i giochi-personaggi fossero dotati di pensieri in qualche modo preconfezionati, se fossero già condizionati dal costruttore ad un sentire, a delle scelte, a dei modelli prestabiliti, perderebbero completamente l’utilità del loro esistere, finirebbero per essere oggetti, pur belli e costosi, ma destinati a fini diversi da quello essenziale e determinante, proprio dei giochi. Anzi sarebbero addirittura dannosi, perché inibitori della fantasia e incapaci di accogliere e impersonare il pensiero di chi li possiede e li anima.

Mi ha sempre dato un po’ quest’impressione, la bambola "Barbie" condizionata, a mio parere, da un tipo di abbigliamento e di accessori, che ne prestabilisce ceto e stile di vita, impedendo così alla bambina, che ne diviene mamma o sorella, di renderla simile a sé ed inserirla completamente nel proprio mondo; Barbie, per forza di cose, assomiglia di più alle varie divette del cinema e della televisione, ma per lo meno, una volta in mano alla sua padroncina, può pensare ed agire secondo i desideri di quest’ultima.

Adesso però, il suo inventore ha deciso che Barbie, alla quale da sempre era stato dato anche un fidanzato, tale Ken, debba cambiare stile di vita: non più la ragazza, tutto sommato la brava ragazza americana, fedele al suo Ken, a sua volta bravo ragazzo americano, semplice e sorridente. NO! Barbie vuole maggiore libertà, vuole vivere una vita più indipendente, anche dal suo uomo, (forse uno non le basta), vuole seguire nuove tendenze, vuole ... ...

Grande battage pubblicitario ... ...

I telegiornali annunciano: "Un’altra coppia, che pareva indissolubile, si è spezzata. L’amore tra Barbie e Ken è finito; i due dopo quarantatre anni, si sono lasciati…….."

Ma stiamo scherzando!?

Si saranno resi conto che stanno parlando di bambole?

È notizia da telegiornale?

Certo dev’essere uno strano tipo l’ideatore di questa brillante trasformazione, il quale certamente si propone l’unico scopo di vendere tante bamboline nuove, essendo quelle vecchie ormai superate, ma come fa costui a dire cosa vuole oggi la nuova Barbie? Non sa forse che la Barbie di Cristina vuole andare a fare un pic-nic, mentre quella di Paola preferisce andare a ballare e intanto che quella di Angela non vede l’ora di sposare il suo Ken, quella di Elisa gira per casa in pantofole e ama guardare la televisione ed arredare la sua casa?

Cosa conosce costui dei giochi delle bambine?

Ma soprattutto, mi chiedo preoccupata, molto preoccupata, quegli adulti che compreranno alle loro bambine la nuova Barbie, quali modelli intendono offrire loro?

Pensano forse che, non potendo l’amore umano, come molti sostengono, durare in eterno, è giusto che già le bambine si abituino a far terminare anche gli amori delle loro bambole?

O forse non si porranno alcun problema e pensando di comprare semplicemente una bambolina nuova, lasceranno che sia la pubblicità a suggerire alle bimbe come animarla?

Confesso che sono rimasta piuttosto sconcertata da questo fatto e da come è stato presentato, temo molto le conseguenze che può avere, ma confido nel semplice buon senso di cui sono ancora dotati i bambini e nella loro logica ferrea che non conosce accomodamenti, così mi auguro che Cristina, Paola, Angela ed Elisa e tutte le bimbe del mondo conservino la fantasia per giocare con le loro bambole secondo i loro più spontanei moti del cuore e se poi, invece che Barbie, verrà loro regalato Ciccio Bello o una qualsiasi bambola di pezza, sarà tanto di guadagnato per tutti.