IL PONTELUNGO

di Luisa Lipparini Leonardi

È una tiepida giornata di ottobre, sto viaggiando su un autobus che dovrebbe condurmi velocemente fino al centro della città, ma sento l’impulso irresistibile di scendere e proseguire a piedi per godermi gli ultimi raggi di sole che rendono tanto piacevole questa giornata di autunno.

La mia passeggiata ha inizio proprio davanti al ponte che attraversa il fiume Reno e che noi bolognesi chiamiamo "il Pontelungo".

Cammino lentamente guardando l’acqua che scorre in mezzo al verde degli argini, apparentemente tranquilla ma profonda e infida quando, alzando gli occhi, la mia attenzione viene attratta dai paletti di cemento della balaustra schierati in fila come soldati e, improvvisamente, mi sento sopraffare da una ridda di sensazioni di angoscia, di paura..

Cerco di capire il motivo di queste sensazioni che mi colpiscono tanto dolorosamente e mi si affollano intorno come fantasmi provenienti dalle antiche pietre.

È il ricordo dell’ultima guerra che è affiorato alla mia mente quando, dopo l’armistizio firmato nel 1943, gli italiani che non hanno potuto fuggire, si sono trovati in un paese distrutto dalle bombe, divisi e confusi, circondati da nemici e condannati per le colpe dei loro governanti.

All’improvviso mi sembra di sentire una gelida nebbia che avvolge tutte le cose e nasconde le colline circostanti, cancellando anche la visione consolatrice della Basilica di San Luca .

L’angoscia continua ad attanagliarmi il petto mentre i paletti del ponte, legati in ferro fra di loro, rilasciano lacrime di ruggine e somigliano sempre più a soldati in divisa grigio verde: uomini magri, infreddoliti e spaventati schierati in fila lungo il ponte ; davanti a loro un carro armato procede lentamente e un ufficiale tedesco con un fucile spianato li incalza impartendo ordini con tono tanto duro da far gelare il cuore.

All’improvviso l’ufficiale emette un secco "ALT": la fila si ferma e le sentinelle si voltano verso di lui. E’ un attimo, ma un uomo ha la prontezza di uscire dal gruppo, scivola furtivamente fra i paletti che recingono il ponte e si lascia cadere in basso verso la vegetazione che costeggia il fiume. Rimane fermo, immobile, col cuore che batte all’impazzata, sa che se venisse scoperto i soldati non esiterebbero a premere il grilletto e porre fine alla sua vita.

Passano le ore ma non succede nulla; allora l’uomo esce dal suo nascondiglio e se ne torna a casa. Quell’uomo era mio suocero che, dopo questo episodio, ha avuto la fortuna di vivere in un Paese senza guerre, in salute fisica e mentale fino a novantadue anni.

Da molti anni i soldati non passano più sul ponte, ma il mondo è pieno di violenza e di crudeltà tali da superare i periodi più oscuri della storia.

Gli Aztechi e i Galli tagliavano le teste ai nemici, i Romani li crocefiggevano; dopo tanti secoli il progresso ha fatto sì che non occorresse più fare queste pratiche: basta premere un bottone, sganciare una bomba per distruggere una intera città. Recentemente I bombardamenti venivano filmati e noi potevamo vedere in televisione la traiettoria delle bombe e lo scoppio come in un videogame di luci colorate, ma sapevamo che non era un gioco e che tante persone morivano straziate.

Ora è successo qualcosa di nuovo; uomini e donne si immolano, non per amore o per la Patria, ma per uccidere altri esseri umani e tutto ciò in nome "dell’odio";

ai nemici catturati vengono tagliate le teste come dimostrazione di forza, di coraggio o di nuova civiltà?

Abbiamo ricevuto in dono un mondo tanto bello, ma continuiamo a distruggerlo, a ucciderci fra di noi e feriamo la terra col sangue e col fuoco.

Mi chiedo se l’umanità imparerà mai dagli errori commessi e ripeto le parole di Monsignor Tonini che ci ricorda quanto è grande la misericordia di Dio e ci esorta a sperare perché dopo ogni tempesta torna sempre il sole.