Le radici della scienza

di Annetta Ventura

 

La parola scienza è attribuita a svariati tipi di conoscenze, partendo dal significato più antico, e generico, di accumulo del sapere, fino alla rigorosa definizione di scienza galileiana. Si parla di scienza pura e di quella applicata, di scienze esatte, matematiche, chimiche, fisiche, naturali, di scienze umanistiche e linguistiche, di scienze morali e teologiche, ma anche di scienze occulte, magiche, astrologiche e spiritiche.

E non tutte, ovviamente, affondano le loro radici nella scienza galileiana, alcune sono conoscenze costruite in un determinato settore nel corso del tempo e  organizzate secondo criteri logici, altre ancora sembrano avere poco a che fare con la scienza.

Ma dalla prima parte del XVII secolo, dalla svolta impressa da Galilei, la scienza divenne qualche cosa di diverso da una conoscenza, anche se ragionata ed organizzata.

Il nuovo metodo matematico-sperimentale, lo stesso seguito ancora oggi, interroga i fenomeni della realtà e, con l’osservazione, il ragionamento, il rigore matematico e gli esperimenti riproducibili, conduce alle leggi universali che governano la natura.

 

Per costruire le certezze della scienza galileiana non bastano quindi le parole.

Galilei ridestò l’uomo dall’accettazione passiva dell’antica fisica aristotelica e ricercò le impronte del Creatore sulla Terra, nelle pietre.

Le stelle, lontane e irraggiungibili, erano state fino ad allora le sole depositarie delle verità fondamentali.   Il cielo, e una Terra  immobile, posta al centro di un universo sferico,   erano due mondi separati e diversi, l’uno culla dell’immutabilità, l’altro del cambiamento.

La scienza antica raccontava che i gravi, i corpi pesanti, tornavano sempre verso il suolo, e che i corpi leggeri ricercavano il loro spazio naturale al di sopra della Terra.

L’acqua stava sopra la terra, l’aria sopra l’acqua, il fuoco sopra l’aria.

Una pietra – si diceva - non ricade sempre al suolo? L’aria non gorgoglia fuori dall’acqua? E il fuoco non fugge verso l’alto, sopra l’aria?

Si riteneva, perciò, che il moto naturale di un corpo lo portasse a riunirsi con il  proprio simile e a fuggire dal suo dissimile.

 

Galilei studiò il moto dei corpi, raggiungendo risultati che favorivano il sistema copernicano ed indicavano la strada per sviluppare la meccanica celeste.

Convinto che le sue scoperte astronomiche potessero essere spiegate con la teoria eliocentrica di Copernico, ne scriveva, nel 1610, nelle prime pagine del Sidereus Nuncius, come se fosse provata e accettata:

Ma quel che di gran lunga supera ogni meraviglia, e principalmente ci spinge a renderne avvertiti tutti gli astronomi e filosofi, è l’avere scoperto quattro astri erranti, da nessuno, prima di noi, conosciuti né osservati, che, a somiglianza di Venere e Mercurio intorno al Sole, hanno le loro rivoluzioni attorno a un certo astro cospicuo tra i conosciuti…

Ma la teoria di Copernico, con il Sole immobile al centro dell’universo e i pianeti che gli ruotavano intorno, era considerata un’ipotesi, ed era vista con un certo sospetto dalla cultura aristotelica e cattolica del tempo  perché contraddiceva alcuni passi della Bibbia 1.

Galilei, in una delle  quattro Lettere copernicane, scritte dal 1613 al 1615, affrontò il problema senza compromessi:  “Io credo che i processi naturali, che o percepiamo attraverso attente osservazioni o deduciamo da dimostrazioni coerenti, non possano essere confutati da brani della Bibbia.”2 

Galilei scrisse anche che la scienza e la fede non sono in opposizione, che si può credere in Dio e nello stesso tempo essere convinti che la Terra giri intorno al Sole. E mise in evidenza la differenza tra la rivelazione delle Scritture  e quella del libro della natura. 

Le verità della Bibbia, espresse con le parole, si riferiscono al trascendente e sono di competenza della teologia; il libro della natura si riferisce all’immanente, è di competenza della scienza, che legge le stesse verità scritte con il linguaggio matematico.

 

Il Santo Uffizio, presieduto dal cardinale Bellarmino, lo stesso del processo a Giordano Bruno, nel 1616 censurò l’eliocentrismo copernicano.

Erano passati settanta sette anni dalla pubblicazione della teoria di Nicolaus Kopernick, ma Galilei l’aveva messa in evidenza solo in quegli anni.

È del 1633 l’imposizione a Galilei di abiurare le idee copernicane.

Nel Palazzo del Quirinale a Roma, sede del tribunale dell’inquisizione, il 22 giugno, Galilei pronunciò ad alta voce:

 

Io Galileo, figlio di Vincenzo Galilei di Fiorenza, dell’età di settanta anni, costituito personalmente in giudizio, e inginocchiato innanzi a Voi Reverendissimi Padri ed Eccellentissimi Cardinali, avendo innanzi agli occhi li sacrosanti Vangeli, che ora tocco con le mani, giuro di avere sempre creduto quanto insegna la Santissima e Apostolica Chiesa. Maledico e detesto i miei errori e giuro che per l’avvenire mai più asserirò, né per voce né per iscritto, dette eresie. 3 

 

Cinque anni dopo, nel 1638, avrebbe pubblicato a Leida in Germania, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai moti locali , il capolavoro che raccoglieva quarant’anni di studi sulla statica e sulla dinamica, ed esponeva il suo metodo scientifico-matematico di ricerca. Galilei aveva indicato come cadono i corpi, e Newton avrebbe spiegato perché cadono.

Keplero aveva dimostrato come si muovono i pianeti intorno al Sole, e Newton  avrebbe trovato perché tutti i corpi celesti si muovono.

“La superstizione del popolo, più che l’opposizione della Chiesa, ritardò lo sviluppo delle scienze. La censura sulle pubblicazioni non divenne un vero e proprio impedimento fino alla Controriforma che seguì al Concilio di Trento, dal 1545 in avanti”. 2

Galilei sarebbe nato diciannove anni dopo questa data, proprio in un periodo in cui la Chiesa non stava alla pari con il grande sviluppo degli studi astronomici che lei stessa aveva sollecitato e avviato, dalla seconda metà del XVI secolo, per la riforma gregoriana del calendario.

 

Nell’esaminare questi avvenimenti, vanno tenute presenti alcune considerazioni.

La diffusione della teoria copernicana, spinta da Galilei, avvenne nell’arco di una trentina d’anni, il tempo di una generazione. E la teoria aristotelico-tolemaica durava da mille e ottocento anni e aveva permeato tutta la cultura .

Sono ancora  presenti nel nostro linguaggio corrente, dopo più di quattrocento anni,  espressioni che si rifanno ai cieli, alle sfere celesti, e alla loro perfezione.

Inoltre, per quanto solo in parte corrispondente alla realtà, la rivoluzione copernicana scompigliava una visione del mondo che, avendo messo la Terra, e l’uomo, al centro di tutto, gli aveva conferito  importanza, serenità e fiducia,  inoltre aveva dato concretezza ad un mondo perfetto, lontano, ma reale e visibile. 

In qualsiasi epoca, serve tempo alla mente umana per accettare cambiamenti così radicali.

Dio portò il popolo d’Israele fuori dall’Egitto, ma lo lasciò nel Sinai per quarant’anni, il tempo che si formasse una nuova generazione non condizionata dai limiti della schiavitù, e con una mentalità adatta ad operare scelte di vita diverse rispetto al passato.

Da scienziato, Galilei aveva sperato che fosse riconosciuta l’indipendenza della scienza, ma  non si era mai messo contro la Chiesa.

“L’intento dello Spirito Santo, nell’ispirare la Bibbia, era insegnarci come si va in cielo, non come va il cielo", commentava il cardinale Baronio, che accettava, con fede, i cambiamenti che una maggiore conoscenza sembrava imporre.

Pascal, pochi anni dopo questi fatti, scriverà: “La fede è un dono di Dio. Non crediate che diciamo che è un dono del ragionamento ”. 4  È la scienza che viene dal ragionamento.

Giovanni Paolo II, nel 1979, dirà che “Scienza e fede sono entrambe doni di Dio”.

E aggiungerà anche che la scienza ha radici nel mondo, ma porta l’uomo verso Dio.

 


 

1   Giosué, 10,12-13; Ecclesiaste, 1,4 - 2 Will Durant, storico americano, Storia della civiltà, Mondadori, , vol. VII, pag. 820; vol. V, pag.  636 - 3 Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia moderna, Mondadori, 2003, pag. 154  - 4 Blaise Pascal, matematico e filosofo francese (1623-1662), Pensieri, Mondadori, 1968, pag.115, pensiero numero 142