LA VOCE DEL VESCOVO
di Maria Carla Papi
"Riflessioni sul Giorno del Signore"
Nota pastorale di S. E. il Card. Arcivescovo Giacomo Biffi
Una delle caratteristiche di questa meditazione sui "miti", è che sono tutti pensieri, modi di vivere, di dire o, comunque, punti di vista che spesso a parole, ma solo a parole sono giudicati con una certa punta di scandalo o di disappunto da parte di chi dice di credere, ma poi, nei fatti, il disappunto non si traduce in una testimonianza valida di un diverso concetto dellesistenza umana.
Lo abbiamo visto laltra volta: tutti ci riempiamo la bocca citando le leggi del Signore e guardando in cagnesco chi le ritiene oppressive, ma è raro vedere un cristiano che mostra con quanta gioia e semplicità si può vivere seguendo la Legge di Dio.
Ciò che a mio avviso mi pare voglia sottolineare il Cardinale Biffi, non è solo la denuncia di questi "miti" (che via via si sono radicati nella società) o di coloro che li hanno enunciati per primi, ma soprattutto lincoerenza dei cosiddetti credenti che sono stati incapaci di fronteggiarne lassalto, pur avendo dalla loro unalternativa senza eguali: la Parola di Dio e, anzi, Cristo stesso, col sangue del quale tutti i vaghi discorsi si scolorano e si disperdono.
Se Marx, poveretto, aveva perso la fede, è ovvio (e anche coerente) che facesse certi discorsi. Ma chi ha la fede, chi dice di credere in Gesù Cristo morto e risorto, quale giustificazione ha?
Secondo "mito"
il culto di Dio come "alienazione"
"Il concetto di
alienazione che nei decenni trascorsi è ritornato con una
certa frequenza nei nostri discorsi anche liturgici è di
origine hegeliana, ma alla cultura contemporanea arriva
attraverso la mediazione di Marx. Per Marx, luomo cade nellalienazione
di tipo religioso (tanto per limitarci al campo che direttamente
ci interessa), quando, dimenticando che lunica sua patria
è la terra, perde se stesso inseguendo le chimere dellal
di là e cercando un immaginario rapporto col Dio trascendente
che egli stesso si è figurato.
Sotto linflusso inavvertito di questo pensiero può capitare di trovare anche dei cattolici che giudicano alienante una liturgia primariamente dedicata alla contemplazione di Dio e alla memoria di Cristo, e qualificano alienante una domenica contrassegnata in modo eminente (anche se non esclusivo) dal culto del Signore.
Questo giudizio di alienazione che in Marx è coerente con la sua antropologia ed è perciò normale rinvenirlo nellambito del suo sistema è perfettamente antitetico allinsegnamento di Cristo e al suo Vangelo.
Anche in Gesù noi troviamo lidea di alienazione, ma in ben altri termini. Citiamo qualche esempio: "Qual vantaggio avrà luomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?" (Mt 16,26). "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignuola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi tesori nel cielo... Perché dovè il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,19-21). È un rimprovero di alienazione quello che risuona nelle orecchie del ricco avido della parabola: "Stolto questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?" (Lc 12,20); perché "la vita di un uomo non dipende dai suoi beni" (Lc 12,15).
Si supera secondo Cristo questo radicale spossessamento di sé questa "alienazione" quando ci si reintegra, vale a dire si ritorna a essere ciò per cui siamo stati creati: cioè dei contemplatori di Dio e del suo progetto. "Questa è la vita eterna: che conoscano te, lunico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3).
Se noi crediamo che la natura vera delluomo sia quella teologicamente attingibile e cioè sia di essere immagine viva di Cristo nel suo molteplice aspetto di ricercatore, di adoratore, di figlio e di erede del Padre dovremo ritenere appartenente intrinsecamente a noi tutto ciò che ci pone in rapporto diretto collUnum necessarium e dovremo ritenere alienante tutto ciò che ci porta a perderci nella molteplicità delle cose."
Ora, mentre ci prepariamo a vivere il Natale, non perdiamo troppo tempo a criticare le reazioni degli altri, di coloro che non credono e si stordiscono certo infastidendo un po anche noi con festeggiamenti rumorosi, costosi e consumistici che nulla hanno a che vedere con il messaggio che arriva dalla povera capanna di Betlemme. Ci si chiede a volte: perché chi non crede, festeggia il Natale? La risposta, in varie occasioni, ce lha data sempre lo stesso Cardinale Biffi, affermando che anche chi dice di non credere è in qualche modo illuminato dal riflesso della Luce di Cristo. Sta a noi credenti testimoniare con la gioia autentica della nostra fede, ricca delle promesse di Cristo, far sì che negli animi degli uomini, dove lassenza della fede ha alienato ogni anelito spirituale e ogni remoto rapporto con il Creatore, si risvegli quantomeno il dubbio di essersi dispersi su un sentiero che conduce al deserto. Essi sono come viandanti che camminano per una via che si divarica sempre più da quella percorsa dagli adoratori di Cristo, ma fino a quando giungerà a loro leco delle voci e dei canti di lode, fin quando arriverà loro un barlume della luce che illumina la strada dei salvati, cè la speranza che tornino sui loro passi.
Ognuno di noi, con la propria fede pur nellalternanza inevitabile degli stati danimo che la quotidianità della vita produce in ciascuno può essere un frammento luminoso di quella stella che guidò magi e pastori al cospetto del Salvatore.
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