Insostenibile leggerezza d’Egitto

di Francesca Citossi

L’Egitto è un paese un po’ pazzo. Nel Cairo, la capitale, vive un terzo degli Egiziani, è una città enorme con 4 milioni di abitanti che non tace mai: clacson, urla, macchine, camion, venditori, antenne, di giorno, di notte, in centro, in periferia, ovunque e sempre. Il Nilo ha il brutto colore che gli ha dato la modernità, ma mi hanno detto che più a sud è ancora bello. È solcato da feluche prese in affitto e trafitto da enormi barconi pieni di luci che altro non sono se non ristoranti con musica a volume altissimo pacchianissimi, considerati dai cairoti molto chic. La città è enorme, se si sbaglia uscita della metropolitana ci si allontana di 2 kilometri e attraversare la strada è un’impresa suicida, ma le stazioni sono pulitissime, la metro è efficiente e poco costosa. Nelle strade sfrecciano Mercedes a fianco di pulmini scalcinati che scoppiano di persone, autobus dai quali bisogna scendere,-ma anche salire- al volo, col rischio di essere falciati una volta toccata terra e carretti tirati da asini macilenti. La comunità copta (di religione cristiana) è una minoranza, circa il 10%, e tradizionalmente è il bacino della classe intellettuale (Boutrous Boutrous Ghali, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, è un Egiziano copto). Le donne copte sono vestite all’occidentale, alcune truccatissime, le donne musulmane hanno tutte il capo coperto da veli multicolori: è uno spettacolo vederle nella carrozza della metro a loro riservata. Alcune sono interamente coperte da fitti veli neri, con le mani guantate, sicuramente è peggio del burqa. Vivono poco e male, perché la pelle non respira e non prende luce. Anche al mare fanno il bagno completamente vestite. Salvo le pacchiane attrazioni turistiche che sembrano ormai finte (la Sfinge sembra intontita) qui non si può fotografare nulla: ponti, strade, edifici, cabine telefoniche. Nel migliore dei casi viene sequestrato-e mai restituito- il rullino, o alle volte si può passare una giornata diversa al commissariato. L’Egitto è uno stato arabo, musulmano e una dittatura militare, per un occidentale che non voglia limitarsi a fare il turista è un po’ dura da viverci. Decidiamo di fare una spedizione, ci prendiamo un giorno di vacanza da scuola e affittiamo un pulmino. Siamo una variegata compagnia che parla Italiano, Inglese, Francese, Arabo. Fa un caldo insopportabile già alle 6 del mattino, il pulmino è malridotto e fa tanto film Anni Settanta. Dal Cairo ci dirigiamo verso il Canale di Suez che non vedremo perché la strada è sotterranea, anche qui nessuna foto per motivi di sicurezza. Poi comincia la lunga discesa nella Penisola del Sinai. Deserto, deserto e ancora deserto. Ci sono sabbia, sassi e tralicci della luce. Dopo otto ore di viaggio e di sete visitiamo un monastero che è un’oasi irreale circondata da un ambiente invivibile. Le monache ortodosse sono molto cortesi, ci mostrano tutto e rispondono alle domande. Riprendiamo il viaggio e costeggiando il mare vediamo i fuochi dei pozzi di petrolio e delle raffinerie, l’unica ricchezza di questa zona. Finalmente arriviamo al Monastero di Santa Caterina. Qui è tutto rocce enormi arrotondate dalle intemperie di tutte le tonalità di rosso e marrone. Ceniamo e poi andiamo a dormire, alle 2 di notte abbiamo appuntamento per cominciare la scalata del Monte Sinai. Siamo accaldati ma fa freddo, i cammelli silenziosissimi ci scivolano accanto e più di una volta facciamo salti di spavento perché ci troviamo il loro muso fra i capelli e lo strapiombo sotto i piedi. Dopo circa 2 ore cominciano gli scalini: sono 750, molto alti e scomodi, ma nessuno ha la forza di contarli. Arriviamo in cima stremati ma non si vede nulla, è un oceano di folla, sembra Rimini ad agosto, infatti il cucuzzolo era bastato al tempo per il solo Mosè e le sue tavole, ora credo siamo almeno 200 persone in uno spazio ristrettissimo. Vista l’alba se ne vanno tutti, per fortuna. Meglio, cosi noi ci prepariamo con calma, c’è un piccolo spiazzo di 5 metri quadrati che domina la discesa e il sentiero serpentino, Padre John celebra la Messa solo per noi 8. La liturgia in Italiano, l’omelia chiede di farla in Inglese, gli viene meglio, dice. Siamo pellegrini non solo stanotte, ma tutta la vita, l’unico modo per arrivare è viaggiare leggeri, senza cose e pensieri inutili, solo quelli importanti. I beduini che affittavano coperte ora le stanno raccogliendo. Ne è rimasta una proprio in mezzo a noi. Uno dei beduini si siede e ascolta Padre John. Non ha nessuna fretta e si siede nel cerchio con noi. Solo quando Padre John ha finito molto discretamente prende la coperta e si allontana silenzioso. Se potessimo essere tutti cosi rispettosi degli spazi altrui: religioni, vite, desideri, opinioni, sbagli, scelte, silenzi.

Già la strada è difficile così, se ci carichiamo ulteriormente non arriveremo mai, viaggiamo leggeri, solo quel che serve…