EDUCAZIONE: La riscoperta dell’Io: il primo passo di un cammino umano

 

A cura di Giovanna Corazza

 

Un uomo, per il fatto stesso che vive, ha a che fare con la realtà: cose, persone, fatti, famiglia, ambiente di lavoro, momenti di gioia e di dolore, ecc. Ma non è l’uomo astratto, è una persona ben precisa, siamo io, tu, l’altro. Allora che cosa ci guida, che cosa ci sostiene, qual è il significato di ciò che facciamo e di ciò che ci accade? Come poter essere noi stessi sempre?

 

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DaAlla ricerca del volto umano’ di L. Giussani edizioni Rizzoli , Milano 1995, pp. 9-13

 

Il supremo ostacolo al nostro cammino umano è la “trascuratezza” dell’io. Nel  contrario di tale “trascuratezza”, cioè nell’interesse per il proprio io, sta il primo passo di un cammino veramente umano.(…) L’azione è la dinamica con cui io entro in rapporto con qualsiasi persona o cosa. Se si trascura il proprio io, è impossibile che siano miei i rapporti con la vita, che la vita stessa (il cielo, la donna, l’amico, la musica) sia mia.

Per poter dire mio con serietà occorre esser limpidi nella percezione della costituzione del proprio io. Nulla è così affascinante come la scoperta delle reali dimensioni del proprio “io”, nulla così ricco di sorprese come la scoperta del proprio volto umano.

E nulla è così commovente come il fatto che Dio si sia fatto uomo per dare l’aiuto definitivo, per accompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza il cammino faticoso di ognuno alla ricerca del proprio volto umano. (…) L’incontro con l’avvenimento cristiano è da duemila anni l’incontro con un fenomeno umano (un uomo, una compagnia di persone) nel quale la passione per la  scoperta del proprio volto e l’apertura alla realtà risultano “stranamente” desti. Tale passione è continuamente ridestata da qualcosa che non è esito di pensieri o di particolari filosofie.

I primi due che seguirono Gesù sulle rive del fiume Giordano sono i primi protagonisti, dopo Maria, di una misteriosa riconquista dell’umano.

 

v          Testimonianza

 

Caro don Giussani, le scrivo chiamandola caro anche se non la conosco, non l’ho mai vista, né mai sentita parlare. Anzi, a dire il vero posso dire che la conosco in quanto, se ho capito qualcosa del Senso Religioso1 e di quello che mi dice Ziba, la  conosco per fede e, aggiungo io, ora grazie alla fede. Le scrivo solamente per dirle grazie; grazie del fatto di avere dato un senso a questa mia arida vita. Sono un compagno delle superiori di Ziba con il quale ho sempre tenuto un rapporto di amicizia in quanto, pur non condividendo la sua posizione, mi ha sempre colpito la sua umanità e la sua disponibilità disinteressata. Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea portato dal quel treno che si chiama Aids e che non lascia tregua a nessuno. Adesso dire questa cosa non mi fa più paura.

Ziba mi diceva sempre che l’importante nella vita è avere un interesse vero e seguirlo. Questo interesse io l’ho inseguito tante volte, ma non era mai quello vero.Ora quello vero l’ho visto, lo vedo, l’ho incontrato e incomincio a conoscerlo e a chiamarlo per nome: si chiama Cristo. Non so neanche cosa vuol dire e come posso dire queste cose, ma quando vedo il volto del mio amico o leggo Il senso religioso che mi sta accompagnando e penso a lei o alle cose che di lei mi racconta Ziba, tutto mi sembra più chiaro, tutto, anche il mio male e il mio dolore.

La mia vita ornai appiattita e resa sterile, resa come una pietra liscia dove tutto scorre via come l’acqua, ha un sussulto di senso e significato che spazza via i pensieri cattivi e i dolori, anzi li abbraccia e rende veri rendendo il mio corpo – larvoso e putrido – segno della Sua presenza. Grazie don Giussani, grazie poiché mi ha comunicato questa fede o, come lei lo chiama, questo avvenimento.

Adesso mi sento in pace, libero e in pace.

Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo che era un codardo, perché l’unica cosa che sapeva fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure a un palmo dal naso la verità che mi stava di fronte.

Grazie don Giussani, è l’unica cosa che un uomo come me può dirle.

Grazie,  perché nelle lacrime posso dire che morire così ora ha un senso, non perché sia più bello – ho una grande paura di morire -, ma perché ora so che c’è qualcuno che mi vuole bene e anch’io forse mi posso salvare e posso anch’io pregare affinché i compagni di letto incontrino e vedano come io ho visto e incontrato.   Così mi sento utile, pensi, solamente usando la voce mi sento utile; con l’unica cosa che ancora riesco ad usare bene io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare del bene solamente dicendo l’Angelus. È impressionante, ma anche se fosse un’illusione questa cosa è troppo umana e ragionevole, come lei dice nel Senso religioso,  per non essere vera.

Ziba mi ha attaccato sul letto la frase di san Tommaso: «La vita  dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione». Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma la più grande ancora è quella che nella misericordia  di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire: «Anch’io c’ero», anch’io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero.

Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e il movimento. La abbraccio.

                                                                                                        Andrea, Milano

 (Andrea è morto due giorni dopo aver scritto questa lettera)

 

 

 (Testimonianza tratta dal libro “ Caro don GiussaniDieci anni di lettere a un padre – A cura di Davide Perillo)

 (1) - cfr   Il senso religioso  di L. Giussani,