I MIRACOLI EUCARISTICI

di Massimo Craboledda

 

         IL MIRACOLO EUCARISTICO DI BOLSENA

 

Una visita a Bolsena, cittadina dell’alto Lazio sulle rive del lago omonimo, è di grande interesse. Nella basilica di S. Cristina fede, storia e leggenda si uniscono a testimoniare la presenza di un culto risalente all’età paleocristiana. Lì, nella catacomba della primitiva comunità, fu sepolta, agli inizi del IV° secolo, una fanciulla, Cristina, martire della fede durante l’ultima, crudele persecuzione di Diocleziano. Gli scavi archeologici del 1880 ne hanno portato alla luce la tomba, un semplice sarcofago, che aveva alimentato una profonda devozione: nell’alto medioevo, distruggendo parte della catacomba, era stata costruita una prima basilica ipogea, mentre numerose leggende si erano diffuse sul martirio della Santa, tutte volte ad esaltarne la fede incrollabile ed il coraggio straordinario. La chiesa attuale, a croce latina, risale al secolo XI°, mentre la facciata è un gioiello dell’architettura rinascimentale. Secondo la tradizione, la costruzione di questo edificio si deve alla devozione a S. Cristina di Matilde di Canossa e di papa Gregorio VII che lo consacrò nel 1078.

Ma la basilica, oltre che per le reliquie della Santa, è, oggi, soprattutto ricordata per un celebre miracolo eucaristico che vi avvenne nel 1263, un miracolo che, secondo le parole di Paolo VI, “ha ravvivato nella Chiesa di allora e ravviva tuttora la coscienza interiore” perpetuando “il culto esteriore, pubblico e solenne, dell’Eucaristia”. In quei tempi, come abbiamo ricordato il mese scorso a proposito del miracolo eucaristico di Ferrara, le dispute sul Santissimo Sacramento erano tutt’altro che sopite. Tanto grande e tanto

eccedente l’umana ragione è il miracolo della transustanziazione, che il dubbio, ove la fede vacilli, è sempre in agguato.

E, in quell’epoca, il dubbio si era impadronito anche di un sacerdote boemo, don Pietro da Praga, il quale provava nel proprio animo una tensione lacerante. Per questo aveva deciso di intraprendere un pellegrinaggio a Roma, intendendo espiare la propria difficoltà a credere e sperando, nel contempo, di rinsaldare la propria fede sulla tomba del Principe degli Apostoli. Giunto a Bolsena, si recò al santuario di S. Cristina per celebrare la Messa. Anche in quell’occasione il dubbio non lo abbandonava. Mentre silenziosamente implorava un aiuto, pronunciò le parole della consacrazione e proseguì fino al momento della “frazione del pane”. Proprio in quell’istante dall’Ostia spezzata caddero copiose gocce di sangue che bagnarono il corporale ed intrisero alcune formelle di marmo del pavimento. Dio veramente grande e misericordioso! Come all’apostolo Tommaso, anche a quel sacerdote il Signore, pur proclamando beati quanti credono senza vedere, non ha rifiutato un aiuto straordinario. E così è per quanti, con animo sincero, si struggono di trovarlo. La manifestazione non sarà sempre così eclatante, ma possiamo essere certi che la promessa: “Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7) non sarà mai disattesa.

La notizia del miracolo si diffuse immediatamente e raggiunse la vicina Orvieto dove risiedeva il papa Urbano IV. Questi inviò immediatamente a Bolsena il vescovo locale insieme ai teologi Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio per verificare l’accaduto. Essi presero il corporale insanguinato, l’Ostia e i lini dell’altare e li portarono al papa. La consegna delle reliquie avvenne al ponte di Rio Chiaro. Furono accolte dal pontefice e da una solenne processione di clero e di popolo che, dopo averle adorate, le accompagnò ad Orvieto, ove vennero riposte nella cattedrale di S. Maria Prisca.

Mosso da quell’evento, per rinsaldare il culto dell’Eucaristia Urbano IV, l’anno successivo, con la bolla Transiturus de hoc mundo, istituì la solennità del Corpus Domini da celebrarsi in tutte le Chiese il giovedì successivo alla festa della Santissima Trinità. A Tommaso d’Aquino fu affidata la composizione del relativo ufficio.

Di lì a poco, nel 1290, papa Niccolò IV benediceva la prima pietra del duomo di Orvieto che, per dirla con Leone XIII, sarebbe diventato “il giglio d’oro delle cattedrali d’Italia”. Secondo la tradizione, esso fu eretto proprio per celebrare il miracolo eucaristico di Bolsena. Pur se manca un documento scritto che attesti con certezza il collegamento fra la costruzione del duomo e quell’evento, è, tuttavia, certo che il desiderio di dare all’insigne reliquia una più degna dimora non fu estraneo al progetto. Una cappella venne, infatti, appositamente costruita per custodire il corporale entro un prezioso reliquiario, vero capolavoro di arte orafa. Bolsena conserva l’altare sul quale avvenne il miracolo oltre a quattro lastre di marmo macchiate indelebilmente di sangue divino, venerate dal 1704 nella Cappella Nuova del Miracolo, accessibile dalla navata sinistra della basilica di Santa Cristina. A testimonianza di quanto la Chiesa onori questa straordinaria manifestazione della presenza di Cristo nell’Eucaristia, basti ricordare che, da Urbano IV a Giovanni Paolo II, ben quindici pontefici hanno visitato i luoghi del miracolo venerandovi le reliquie e che, nell’anno santo 1950, nella solennità del Corpus Domini, il corporale fu portato in processione a Roma alla presenza di Pio XII.

Il miracolo di Bolsena conferma quanto la Chiesa ha sempre insegnato ed è splendidamente riassunto dalla dottrina del Concilio di Trento nel Decreto sull’Eucaristia: «La Chiesa (…) professa che, in forza delle parole, il corpo è sotto la specie del pane e il sangue sotto la specie del vino; ma, in forza di quella naturale unione e concomitanza per cui le parti del Cristo Signore, che ormai è risorto dai morti e non muore più, sono unite tra loro, lo stesso corpo è sotto la specie del vino e il sangue sotto quella del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie. Inoltre la divinità è presente, per quella sua amabile unione ipostatica, con il corpo e con l’anima. È, quindi, verissimo che sotto una sola specie è contenuto tanto quanto sotto entrambe. Cristo, infatti, è tutto e integro sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; e similmente è tutto sotto la specie del vino e sotto ogni sua parte».