Il caso Welby e la speranza negata

Macabra battaglia sul corpo di uomo

 

Piergiorgio Welby non c’è più, ma la strumentalizzazione che è stata fatta sul suo dolore da certe parti politiche ha lasciato degli strascichi.

Non ci permettiamo certo di dare nessun giudizio sulle richieste del povero Welby, bensì il giudizio – severo – è caso mai su chi ha voluto portare avanti sulla sua pelle certe battaglie ideologiche contro la vita.

Anzitutto c’è da dire che per ignoranza - o più probabilmente per malizia voluta – si è fatta una gran confusione fra ‘eutanasia’ e ‘cessazione dell’accanimento terapeutico’.

Voglio dire che un conto è suicidarsi o chiedere ad altri di procurare la morte) per paura della malattia e un altro conto è rifiutare terapie inutili, chiedendo che la natura faccia il suo corso e affidarsi alla volontà del Padre, assistiti spiritualmente per chi crede e materialmente con la medicina palliativa che sembra essere un tabù nel nostro Paese.

Se impariamo a fare le battaglie giuste, senza disperdere le energie in quelle scorrette, saremo veramente utili a tanta gente che soffre. Preghiamo per Piergiorgio Welby eleggiamo questo articolo di Rondoni che mostra tutta la pietà ‘vera’ negata a Welby.

 

Dall’Avvenire del 6/12/2006

di Davide Rondoni.

Cosa giustifica questo accanimento? Che è una specie di accanimento opposto a quello terapeutico, e però ugualmente ingiusto e disumano. Un accanimento fatto di sbattere in prima pagina. Di lanciare proclami. È tutto un assieparsi di gente interessata alla morte più che alla vita. Che la morte la invoca. Di fronte a un uomo che, disperato, non trova più motivi per vivere, si accaniscono, inventano manifestazioni clamorose, convocano commissioni di saggi per dire: muoia. Che strano accanimento, che circo nero. Che in nome della pietà invoca la morte. Invece che i motivi per la vita. C’è qualcosa di strumentale. E di disgustoso. Sarebbe quasi più comprensibile l’atto estremo. Vien da dire che se uno di questi manifestanti avesse a cuore veramente la fine delle sofferenze di quell’uomo che hanno reso bandiera, se avesse a cuore la sua propria, e personale sofferenza, andrebbe lì, staccherebbe la spina. Invece di sbandierarlo come un pupazzo. O meglio, spenderebbe i giorni e ogni sua risorsa per consolarlo. Invece di usarlo come pretesto.

Sarebbe quasi più comprensibile questo atto singolare e preciso di insurrezione, di illegalità, o di assunzione di responsabilità. Invece di questa canea. Che invoca il diritto alla morte. E che finisce per inventarsi addirittura "comitati di saggi", come in un incubo da romanzo di fantascienza, per decidere quando è giusto morire...

In nome del diritto del singolo, finiscono per dare ogni diritto allo Stato e ai suoi organismi. Rispondetemi, finti pietosi. Rispondete a queste tre domande, manifestanti della morte. Forse dietro a questa commedia funesta che state imbastendo sul corpo di un uomo, c’è qualcosa d’altro. Non l’interesse per lui, e nemmeno la pietà per la sua disperazione. Ma la difesa, o peggio, l’uso strumentale della sua disperazione. Non l’interesse per il suo dolore, ma lo sbandieramento della sua disperanza. Quasi usando di lui come capo d’imputazione alla vita. Come se agitando la sua figura abbiate trovato qualcosa da rinfacciare alla vita. Per poterle dire finalmente: guarda come sei orrenda, non sei più tu la base su cui fondare le approssimazioni del diritto.

Non sei più tu, vita, a dettare i limiti e gli scopi del faticoso e vario legiferare nella comunità degli uomini. No, non esiste più la vita a cui si deve rispondere. Esiste solo la cosiddetta autodeterminazione. Che è come dire il soggettivismo. Ma rispondete, dunque, circensi della morte: se cessiamo di considerare "illegale" l’autogestione dei limiti della propria vita, in base a quale principio domani multerete un ragazzino che, essendosi assicurato di non far danno a nessuno, passerà con il semaforo rosso? O chi ha il diritto di decidere quale è la soglia di sopportabilità della vita? I nostri figli riceveranno il messaggio che se si sente non più sopportabile la vita per un qualche soggettivo motivo e ce la si toglie non si fa niente di male? È autodeterminazione, è soggettivismo, no? Pensateci, prima di sorridere. E se non sulla base di un rispetto della vita, anche quando è duramente alla prova, su cosa fonderete le vostre leggi, sulla convenienza del più potente di turno? Avete scelto di combattere intorno al corpo sofferente di un uomo una battaglia contro, invece che per la vita. Non vi interessa del destino singolo. Ne avreste più rispetto. Vi interessa una battaglia filosofica, di principio. Sostituire alla vita lo Stato. Come se l’uomo dovesse rispondere solo a se stesso e alla Legge, e a nient’altro.

Volete far credere che il dibattito sia tra chi ha pietà e chi non ne ha. Invece è tra coloro che come voi lasciano solo l’individuo davanti allo Stato, e chi sa che per vivere occorre speranza, specie nelle prove. E questa non la possono dare né lo Stato, né la legge. Ma di questo, di speranza, non volete parlare.