Il Magistero del Vescovo
INDIVIDUO O PERSONA?
I
PENSIERI SULL' ANTROPOLOGIA ODIERNA
E DI GIOVANNI
PAOLO II: IN MEMORIA
di Maria Carla Papi
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Dalla Conferenza del 17/05/2005 alla
Sala Europa
di Mons. Carlo Caffarra
«L'incontro odierno mi offre l'occasione
di fare memoria con voi del S. Padre Giovanni Paolo Il. Egli ci
ha lasciato un patrimonio spirituale di incalcolabile preziosità.
Il mio, questa sera, è un umile tentativo di ricevere questa
eredità, meditando con voi su un tema centrale del suo Magistero:
il tema antropologico. L'alternativa che ho posto nel titolo
indica un'alternativa fondamentale attinente alla verità sull'uomo,
e al contempo sostiene la tesi che l'insegnamento di K. Woityla/Giovanni
Paolo Il sull'uomo trova nel «principio personalista» la sua
chiave di volta.»
Con queste parole,
l'Arcivescovo ha iniziato la conferenza su un tema attuale e
delicato allo stesso tempo, trovando un valido appoggio nel
Magistero di Giovanni Paolo Il. Anche in virtù del dibattito che
di questi tempi, si è acceso sulla dignità della persona, dal
suo esistere fino alla morte, proponiamo, senz'altro commento,
alcuni brani della riflessione che già dicono tutto a chi legge.
«Cogliere questa
alternativa non è oggi facile, - afferma Caffarra - dal
momento che la sinonimia individuo/persona è un dato di fatto
nel linguaggio comune. Risultato, questa sinonimia, di una
progressiva perdita del concetto di persona quale era stato
elaborato dal pensiero cristiano, soprattutto nel grande e
faticoso dibattito trinitario e cristologico.
... Esiste una
distinzione inadeguata fra «individuo» e «persona», ma nella
modernità abbiamo assistito ad una progressiva riduzione dell'essere-persona
all'essere individuo. Questa riduzione costituisce la vera caduta
dell'uomo fuori dalla sua verità, e quindi, una delle principali
radici ultime dei problemi attuali. L'antropologia di K Woityla/Giovanni
Paolo II affronta questa caduta, per riportare l'uomo alla
verità del suo essere-persona.
L'uomo è persona.
«Nei primi anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II
dedicò una lunga serie di catechesi del mercoledì al tema dell'amore
umano, in ordine alla costruzione di un 'antropologia adeguata,
come egli stesso la qualificò.
... questa
costruzione si fonda su tre pilastri ... fondamentali sull'uomo.
La prima: l'uomo è a immagine e somiglianza di Dio. È questa la
verità originaria riguardante l'uomo: una verità non proposta
all'uomo, ma semplicemente donata dall'atto e coll 'atto creativo
di Dio. E quindi è una verità che la libertà dell'uomo non
potrà mai interamente distruggere.» Con questa verità,
avverte Caffarra, si afferma che l'uomo non è semplicemente il
momento di un processo evolutivo, né il prodotto di un processo
storico perché ogni uomo esiste in una verità dell'inizio
creata da Dio coll'uomo stesso, che lo pone al di sopra di ogni
altra realtà finita visibile. ... in sostanza, con ciò si vuoi dire
che la realtà più consistente di tutte nell'universo dell'essere
creato e della storia è il rapporto di Dio con l'uomo in quanto
persona. «Con ciò Dio ha scelto l'uomo come quella realtà
nella quale anche tutta la grazia della redenzione deve accadere,
rivelarsi ed in un certo senso "giustificarsi ". Ciò
significa: l'azione di grazia svolta da Dio non va mai contro l'uomo,
non passa mai sopra la testa dell'uomo e non lascia mai da parte
l'uomo». (K. Krenn, L'antropologia di Giovanni Paolo n e la
teologia della Chiesa, in n Nuovo Aereopago 5/3 1986)
Quando
Giovanni Paolo II parla di «persona umana» intende in primo
luogo questa costituzione ontologica dell'uomo ad immagine
e somiglianza di Dio e questa sua centralità nella storia.
La seconda: l'uomo
è comunione interpersonale. Il significato di questa seconda
affermazione sull'uomo in primo luogo non è etico {cioè l'uomo
deve avere un rapporto di comunione con gli altri], ma ontologico.
Essa descrive chi è l'uomo. Mi sembra che questo sia il momento
più originale nella costruzione dell'antropologia adeguata di
cui parlavo, compiuta da K Woityla/Giovanni Paolo II.
Per coglierne
la verità, occorre tener conto che la vocazione alla comunione
interpersonale ontologicamente fondata è significata
originariamente dalla sessualità umana, dal fatto che la persona
umana è uomo-donna. «Significata» ha qui
il senso forte che solitamente ha nel vocabolario cristiano. Si
tratta di un fatto fisico-biologico ... E un fatto che
dice nel suo linguaggio proprio una verità essenziale sulla
persona: il suo «non essere-bene» che resti sola, il suo essere
fatta in modo tale da trovare nella comunione con le altre persone
la pienezza del suo essere {= il suo bene}.
Giovanni Paolo II parlerà, usando questa volta un termine
esplicitamente cristiano, di un «sacramento originario o
primordiale».
Ritrovando
nella sessualità umana il linguaggio della persona come soggetto
in relazione con le altre persone, Giovanni Paolo II ha imboccato
la via della soluzione teorico-pratica di un difficile problema
antropologico, ed ha reso necessario un 'analisi metafisica dell'amore.
Un problema
antropologico. La vicenda umana, il nostro esistere è
attraversato dalla necessità di comporre una triplice divisione
strutturale che diventa anche contrapposizione congiunturale: la
divisione corpo-spirito dentro all'uomo (a);
la divisione uomo-donna (b); la divisione individuo-società
(c).
(a)
Identificando il corpo come linguaggio della persona Giovanni
Paolo II riprende, dal punto di vista metafisico, la tesi di S.
Tommaso, che di fatto non è mai risultata vincente nel
pensiero cristiano: la tesi dell'unita sostanziale della persona
che afferma che la persona umana è spirito e corpo. E dal punto
di vista fenomenologico registra questa tesi tommasiana come vera
chiave di volta della sua visione del sociale umano.
(b)
La divisione uomo-donna va risolta non negando la diversità, non
affermando semplicemente la complementarietà in una sorta di
cultura androgina, ma costituendo una comunione nella
reciprocità dei due modi fondamentali di essere persone umane.
(c)
La divisione individuo-società va risolta nell'unificazione
creata da un vero bene comune, oggettivamente vero e
soggettivamente vissuto come tale dai suoi membri. Solo il bene
comune può essere la base adeguata di ogni convivere umano, ed
esso non può che essere la realizzazione della persona
Da ciascuna di
questa triplice risposta antropologica nasce una categoria etica:
quella di integrazione, quella di comunione, quella di
partecipazione. ...
La metafisica
dell'amore. Questa dimensione della persona - il suo
essere/dover essere nella comunione interpersonale - pone
il problema della verità ultima dell'amore. La domanda di fondo
ancora una volta non è «che cosa devo fare per amare una
persona?», ma è «che cosa è l'amore di una persona?». K WoitylaiGiovanni
Paolo II ripropone la centralità della domanda sulla
verità dell'amore tanto cara alla tradizione agostiniana
Volendo
stringere al massimo la visione che K Woityla/Giovanni Paolo II
ha dell'amore in rapporto alla verità della persona mi sembra di
poterla riassumere in tre affermazioni. La prima: «Ciò
che la persona è, il suo vero essere in quanto persona, si
attualizza solo nell'amore Poiché la persona in quanto tale ...
è il bene supremo del mondo finito, l'amore è la risposta
suprema al valore ed il bene più perfetto del mondo» [l. Seifert,
Essere e persona, ed. Vita e Pensiero, Milano 1989]. Esiste un
rapporto inscindibile fra amore e persona: se non sai la verità
sull'amore non puoi sapere la verità sulla persona, e
reciprocamente. La seconda: l'unione fra le persone
raggiunge il suo vertice non attraverso il reciproco conoscersi,
ma attraverso il reciproco amarsi. La terza: il supremo
auto-possesso e la suprema autonomia della persona si manifestano
in modo supremo nel dono di se stessi ali 'altro. Giovanni Paolo
II ama ritornare spesso su questo paradosso della persona: è se
stessa massimamente nel dono di se stessa
la
libertà dell'uomo è la capacità di operare la verità nell'amore.
La costruzione di un'antropologia adeguata quale sopra abbiamo
appena schizzata esige di porre al suo centro il discorso sulla
libertà. «Al centro», ho detto: non «il centro». Su questo
la filosofia di K Woityla e il magistero di Giovanni Paolo II è
esplicito. Cito un solo testo: «l'uomo è se stesso attraverso
la verità La relazione con la verità decide della sua umanità
e costituisce la dignità della sua persona» [K. Woityla,
Segno di con1raddizione, ed. Vita e Pensiero, Milano 1977]. La
verità del proprio essere-persona è affidata alla libertà, ma
la libertà non è potere di determinare la verità di se stesso.
La persona è/deve essere libera nella verità e vera nella sua
libertà: veramente libera e liberamente vera.
L'amore è l'espressione
più alta della persona perché ne esprime al massimo la verità
nel massimo della libertà.
Individuo e
persona: un incontro impossibile?
In questa
seconda e più breve parte della mia riflessione vorrei
rispondere alla seguente domanda: la curvatura individualista che
in Occidente ha subito la metafisica della persona, in che
rapporto si pone coli 'antropologia adeguata di K Woitylai
Giovanni Paolo lI? » Caffarra dà la risposta in due: la
domanda da cui è generata quella curvatura è sensata; la
risposta data però ha tradito teoricamente e praticamente quella
domanda «che trova risposta nell'arricchimento del concetto
di persona operato da K WoitylaiGiovanni Paolo IL
Il fatto di
ciò che ho chiamato «curvatura individualista» è qui dato per
verificato. Da quale esigenza nasceva e quindi quale domanda
poneva? Dall'esigenza di affermare l'originalità dell'uomo nell'universo
dell'essere, ponendo questa originalità - in questo
consiste la «curvatura individualista» - nell'affermazione
del primato della libertà intesa come negazione di ogni
appartenenza. Sono sempre più convinto che le cifre dell'antropologia
della modernità si ritrovano alla fine lune nella negazione di
un'originaria appartenenza della persona ad un Altro.
Sradicamento della libertà dalla verità e della verità dalla
libertà; sradicamento della persona dalle relazioni originarie:
compare la figura dell'individuo. E dell'individuo diviso in se
stesso e da ogni altro.
La domanda che
poneva quindi era circa la verità della persona come verità
della sua libertà. Quale è la risposta che il Magistero di
Giovanni Paolo II da a questa domanda seria? ed ancor prima l'antropologia
di K Woityla? Essa è espressa mirabilmente in un suo testo
poetico:
«Ora io devo trovare
me stesso in te, se devo trovare te in me stesso.
Non
comprendi che in questo caso tu non sei del tutto libera?
L'amore,
infatti, non lascia libertà di volere né a chi ama né a chi è
amato-
e,
nello stesso tempo, l'amore è una liberazione dalla libertà,
perché la libertà
solo per sé sarebbe orribile»
[cit.
da T. Styczen in K. Woityla, Persona e atto, Rusconi, 1999].
Il vero dramma
dell'uomo permane sempre lo stesso: è quello dell'amore. E ciò
di cui l'uomo ha più bisogno è che gli si dica la verità sull'amore.
La riflessione
molto schematica che ho condono sopra mostra quanto meno come il
Magistero di Giovanni Paolo II debba essere ancora profondamente
assimilato per dare una risposta vera all'uomo di oggi, naufrago
nel mare della pura possibilità senza più alcuna necessità.
E nel mare
della possibilità «anche la bussola» scrive S. Kierkegaard
«è dialettica, e non è possibile distinguere quando l'ago
magnetico devia e quando indica la direzione giusta».
Ecco perché
oggi l'uomo si trova nel suo più grave pericolo: chiamare il suo
autoassassinio atto di autocreazione.»