AFFARI LORO
di Francesca Citossi
Dieci anni fa, nellaprile 1994, cominciava il genocidio in Rwanda. Per i più ottimisti in due mesi sono state uccise mezzo milione di persone, le stime più attendibili riferiscono 800.000, qualcuno arriva fino al milione, 3-4 volte gli abitanti di Bologna ammazzati a colpi di machete dopo stupri e mutilazioni comprese donne e bambini. La comunità internazionale se nè andata. Il Generale Romeo Dallaire, il comandante delle forze di pace delle Nazioni Unite (MINUAR) cominciò a mandare reports a New York avvertendo che quelle in corso non erano semplici violenze localizzate, ma un vero e proprio genocidio, e implorò che fossero mandate altre truppe, invano: il Generale fu unaltra vittima, dovette assistere impotente alla strage, guardare i corpi gonfi gettati nei fiumi, e una volta rientrato in Canada tentò il suicidio e scrisse un libro, cercando di dare un senso a quel che un senso non avrà mai: ai salti mortali dellallora ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite Madeleine Albright (poi promossa a Segretario di Stato del Presidente Clinton) che evitò in tutti i modi che nel consesso internazionale fosse pronunciata la parola genocidio (il che avrebbe implicato, per i paesi firmatari della Convenzione contro il Genocidio del 1951, secondo larticolo 1, lobbligo dintervento); al portavoce di Bill Clinton che affermava che quelli erano "episodi di genocidio" e, alla domanda di un giornalista "di quanti episodi di genocidio ha bisogno perché sia un genocidio?" rispose imbarazzatissima accozzando parole senza senso; alle mancanze di Kofi Annan, allora a capo della Divisione per le Operazioni di Pace delle Nazioni Unite (poi premiato diventando Segretario Generale) che informò poco o non correttamente lallora Segretario Boutrous Boutrous Ghali; a tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che no, non ne volevano sapere di mandare un contingente per fermare quel fiume di sangue, perché era troppo rischioso, troppo complicato, troppo costoso, si, ma, appunto, troppo; a tutta la diplomazia mondiale che non si indignò, a tutta lopinione pubblica che non protestò.
Lanno prima, il 1993, aveva visto in Somalia la disfatta delloperazione "Restore Hope", lintervento fallimentare americano, i cadaveri dei militari di cui era stato fatto scempio per le strade di Mogadiscio, e bastava così. I protagonisti di allora, Bill Clinton, Kofi Annan, tutti i consulenti che presero parte alle missioni ispettive, hanno chiesto pubblicamente scusa e convivono, chi dichiaratamente chi diplomaticamente in silenzio, con la colpa e la responsabilità di aver pensato, al tempo, che erano affari loro, che lAfrica è un continente perduto, da cui non ci si cava nulla ed è meglio starci lontani. Ma le scuse senza un cambiamento sono un vano esercizio da soap opera, come si fa a chiedere scusa a vedove e orfani? Ora i Rwandesi stanno cercando attraverso tribunali comunitari (Gacaca) di risolvere i loro conflitti, perché la magistratura ordinaria impiegherebbe circa 200 anni per venire a capo di tutti i capi dimputazione e rispettivi imputati. Ma dopo? Per quante altre volte lAfrica verrà ignorata e bollata semplicisticamente come un continente impossibile? Quante volte ancora subirà lonta del disinteresse perché le 2819 vittime dell11 settembre valevano bene un paio di guerre mentre 800.000 Rwandesi nemmeno il rinforzo di un contingente di pace? Sono in corso altre guerre, altre crisi, altre emergenze, e chi non interviene, interviene tardi o male peggiora la situazione.
Cosa sarebbe successo se avessimo bombardato di fax, telefonate, email, lettere, il nostro Ministero degli Esteri, o gli Uffici delle Nazioni Unite? Forse nulla, forse avremmo ottenuto solo che si e ci vergognassimo un po di più, o forse qualcuno, magari la sonnecchiante Unione Europea si sarebbe finalmente svegliata dal sonno cinquantenario e avrebbe fatto non solo quel che la coscienza impone, a maggior ragione la coscienza di chi ha responsabilità di governo, ma quel che è scritto nelle convenzioni che proibiscono e sanzionano atti disumani e, prima ancora, nella cuore di ognuno secondo la Legge Naturale.
Tutto quel che è Umano riguarda tutti gli esseri umani- senza bisogno di un Trattato internazionale che condanni loperato di qualcuno. Va bene le scuse, ma la vergogna rimane: rimane la vergogna di non aver voluto fare niente per tentare di fermare la più grande tragedia dallOlocausto della Seconda Guerra mondiale. E quanti altri ce ne vogliono perché ce ne accorgiamo e ci decidiamo a fare qualcosa, o a smetterla con interventi grossolani, basati solo su interessi economici?
La testa sotto la sabbia non ripara dallindecenza, e nemmeno le scuse perché non è "tutta colpa loro", e quindi non sono solo affari loro.