Carissimi Parrocchiani …

di don Carlo Govoni

Lo scorso 26 gennaio, il Papa ha donato a tutti i cristiani, (ma anche a tutti gli uomini di buona volontà) la sua prima enciclica, che egli stesso ha voluto presentare. (v. nel Magistero della Chiesa – pag. 6 - ”Perché ho scelto l'amore come tema della mia prima enciclica” )

A parte il fatto che è doveroso per un Parroco presentare alla Comunità un documento del Papa, mi pare che, in più, soffermarci ad esaminare questa Enciclica che è un vero inno all’amore ‘vero’, come solo può esserlo l’amore cristiano, sia un’occasione provvidenziale per riflettere sulla nostra vita e sulle nostre idee (spesso confuse!) in questo periodo quaresimale.

Esaminiamo insieme, quindi, il documento, non tanto nello specifico, quanto nella sua essenza e nel suo significato.

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Deus caritas est (1Gv 4,16)

“Dio è amore”; inizia con le tre brevi parole tratte dalla prima lettera di Giovanni, che sono il cuore del cristianesimo, la prima enciclica di Benedetto XVI, il quale non nasconde la preoccupazione per l’indebolimento della fede nell’anima dei cristiani.

Partendo dalle radici della fede, ci aiuta a ripensare la realtà di Dio e l’immagine dell’uomo e ci ricorda che «chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui».(1Gv 4,16)

Una fede, quindi,  ancora e sempre basata sull’attenzione, l’interesse, la cura, ma anzitutto l’amore verso gli altri e verso Dio, per il fondamentale motivo che Dio continua ad essere Amore nonostante «un mondo in cui al nome di Dio viene collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza»

La riuscita di una vita intera non sta in un successo esteriore, ma nella maturità della persona, nel superamento dell’egoismo e nel dimostrare ogni giorno di sapere che cosa sia la capacità di amare. E amare vuole dire tante cose.

Anni fa, Mons. Virgilio Levi (Direttore dell’Osservatore Romano morto nel 2002) scriveva: «Mi interrogo spesso se non sia per caso una somma di piccoli egoismi, di scarsa generosità, di poca attenzione agli altri, in cui ciascuno di noi ha la sua parte, a tenere il mondo in un clima di tiepidezza morale…» Parole che fanno ricordare quelle terribili che nell’Apocalisse l’Angelo indirizza alla Chiesa di Laodicea: 15Conosco le tue opere; so che tu non sei né freddo né caldo. Oh! Fossi almeno freddo o caldo! 16Ma perché sei tiepido, e né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca”. (Apocalisse, 3, 15-16)       

«Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore», scriveva S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa, più di quattrocento anni fa. (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica  -§ 1022) 1)

Chi crede ha buoni motivi per riflettere, ma anche coloro che non credono di dover affrontare l’esame della propria coscienza e di Dio, non possono illudersi di evitare il giudizio di chi vive insieme con loro o accanto a loro, Se non altro la vita stessa sottoporrà tutti ad un esame proprio sull’amore.

Vittorio Messori, in un suo articolo sul Corriere della sera, offre una chiave di interpretazione e di lettura dell’enciclica di Benedetto XVI: «… la legge che presiede al cattolicesimo – scrive - è quella che qualcuno ha chiamato ‘dellet-et’, la compositio oppositorum il «sia questo che quello», «l'uno e l'altro», la sintesi e l'equilibrio tra gli estremi, sulla scorta di Gesù stesso, uomo e Dio al contempo, venuto «per completare, non per distruggere». E sulla scorta della croce stessa: et-et per eccellenza, composta com'è da un braccio verticale e uno orizzontale. A questa visione globale, che a nulla intende rinunciare («Sono cattolico perché voglio tutto», mi disse una volta Jean Guitton), il protestantesimo oppone il suo «aut-aut», richiede la scelta, il rifiuto, la condanna di molti aspetti della realtà. Ebbene, già ad una prima analisi, questa prima enciclica del papa tedesco mostra sino a che punto sia operante la prospettiva della compositio cattolica …».

Si incontrano in effetti composizioni di opposti, non solo nel linguaggio e nei  contenuti, dell'enciclica di Benedetto XVI, che esprime profondità dottrinali  e  modi di sentire quotidiani e familiari.

La prima parte della lettera è volta a chiarire che cosa sia l’amore.

Anche se le forme d’amore sono tante - per la  patria, il lavoro, gli amici, i genitori ed i figli, i fratelli ed i familiari, per il prossimo - sono tutte rappresentate e riassunte nell’«amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente, e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile…»  «All’amore tra uomo e donna … l’antica Grecia ha dato il nome di eros».(Deus caritas est § 3)  

Ma l’amore «diventa - anche - cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità, cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia   …» (Deus caritas est § 6)

A questo amore, la Bibbia ha dato il nome di agape, e aiuta a meglio comprendere il significato dell’amore stesso.

L’enciclica conduce all’amore cristiano come «sintesi dell’umano eros e della divina agape …- commenta ancora Messori - in accordo del resto con la natura dell’uomo, sintesi inestricabile di corpo ed anima; un amore che si rivolge al contempo a una singola persona e all’umanità intera; che deve doverosamente dare e che, altrettanto doverosamente, vuole ricevere; che unisce mistica e prassi, utopia e realismo, culto ed etica, sentimento e volontà.»

Il dono gratuito all'altro non è sempre possibile con la sola volontà.

È conseguenza di un dono ricevuto, come rileva il Papa: «L'uomo non può neanche vivere esclusivamente nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l'uomo può diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva. Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio». (Deus caritas est § 7)  

Questo è il tema della seconda parte dell’enciclica, l’amore che si fa carità, che diventa sostegno e sollievo, preghiera e azione, servizio e dono anche spirituale.

La seconda parte può essere considerata una guida sull'essere cristiani:

«Si rivela possibile l’amore del prossimo enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco». (18)

«…  non è merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia» (35)

Tutti abbiamo bisogno di attenzione e dedizione personale, e potrebbe arrivare un momento in cui dovremo dipendere dalla vicinanza e dal sostegno di altri.

«L’amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa renderlo superfluo. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine ..(Deus caritas est § 28-b)

Alcuni commentatori, hanno affermato che la seconda parte dell'enciclica del Papa è politica, ma non bisogna  interpretarla separatamente dalla prima.

'Deus caritas est' parla dell’esperienza della fede, della risposta all'Amore divino, che si è chinato sull'uomo ed ha accolto la morte sulla croce, l'umile e dolorosa morte degli schiavi ribelli.

La carità cristiana nasce dalla conversione del cuore.

Ed è proprio sulle premesse spirituali che Benedetto XVI pone l'accento, sottolineando come, senza l'esperienza della fede, senza l’accettazione dell'agape divina, la carità non assuma spessore ed incidenza cristiana. La carità cristiana è amore divino, arriva dall’adesione alla comunione, che riunisce chi partecipa, nel Sacramento, al sacrificio del Cristo.

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Mi hanno confortato le parole del Pontefice, perché, come ho sempre cercato di dire – anche attraverso le mie omelie – c’è una bella differenza fra l’amore  splendente, perché illuminato dalla luce di Cristo (e quindi scintilla dell’amore divino), e l’amore scialbo, più fioco di un cerino che sul più bello ci lascia al buio, bruciandoci anche le dita!

Il Papa sottolinea con efficacia la differenza degli effetti che può produrre nella vita il vero amore cristiano, rispetto ad un amore senza luce di verità. Pensiamoci in questo Tempo di Quaresima, mentre ci prepariamo a ricordare Chi ha dato a noi la prova d’amore più grande, donando la sua vita sulla Croce per i nostri peccati.

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1) cfrParole di luce e di amore, 57 – S. Giovanni della Croce e Giovanni Paolo II – Lettera alle famiglie 2/2/1994).