LA PARROCCHIA

NEL MONDO CHE CAMBIA

di Massimo Craboledda

Nel documento dei Vescovi italiani "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia" si insiste sul compito della Chiesa, affidato capillarmente ad ogni realtà parrocchiale, di essere casa e scuola di comunione. Dopo avere visto, nello scorso numero, la necessità per la parrocchia della piena comunione col Vescovo, è importante, ora, approfondire quanto dice il Concilio Vaticano II circa l’essere la Chiesa mistero di comunione, per meglio gustarne la soprannaturale bellezza e vivere in pienezza di significati ciò di cui talvolta si coglie solo, o principalmente, l’aspetto umano.

Noi, battezzati e credenti, siamo un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La Chiesa non è un’invenzione umana, non è un club i cui soci hanno qualche interesse in comune ma restano per lo più estranei gli uni agli altri. La Chiesa è una realtà voluta da un disegno di Dio, preparato già nella storia dell’antico Israele e addirittura prefigurato nella creazione dell’uomo e della donna, immagine dell’unione di Cristo e della Chiesa stessa. Capolavoro della Trinità, la Chiesa riflette nei suoi membri l’unità che è in Dio: un legame profondissimo, dunque, suggellato dal medesimo Spirito donato a tutti, un legame che va ben oltre volontà e sentimenti per collocarsi sul piano del nostro essere. Per questo S. Paolo può dire che noi tutti formiamo con Cristo un solo corpo (1Cor 10,13) così come Gesù aveva pregato il Padre (Gv 17, 21 ss): "Siano tutti una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e Io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola…Io in loro e Tu in me perché siano perfetti nell’unità…". Per questo, ancora, Gesù afferma: "Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli è per me fratello, sorella e madre" (Mt 12,50), a significare quale legame di intimità si instaura nella Chiesa fra Lui, che è il capo, e i credenti tutti. E come in Dio l’unità si esprime nella comunione d’amore di tre Persone distinte, così, nella Chiesa, l’unità non è uniformità o appiattimento, ma molteplicità di ministeri, di doni, dati a ciascuno in vista dell’utilità comune, secondo la celebre pagina di Paolo nella prima lettera ai Corinzi (1Cor 12,4ss). Queste verità che possiamo appena balbettare nella contemplazione del mistero trinitario sono sorgente di grande consolazione: il mistero della comunione dei Santi ci dice che nessuno nella Chiesa è mai solo; tutti siamo di Cristo e partecipiamo fin d’ora, in qualche misura, della Sua stessa vita. La persona apparentemente più abbandonata, inserita in questo Corpo mistico, ha una moltitudine di fratelli ed è avvolta dalla preghiera e dall’intercessione dei Santi.

Che senso mai possono avere in questa prospettiva individualismo, frammentazione, ricerca di interessi personali? O come può la diversità dei doni essere occasione di divisione, di competizione? Ogni logica di potere viene esclusa ove, nella comunione, si ha la consapevolezza di essere tutti al servizio di un solo Signore e di poter gioire e godere dei doni di tutti.

Questo, che vale per la Chiesa universale, trova nella parrocchia il suo primo ambito ed il primo banco di prova. La realtà spirituale che abbiamo sottolineata domanda di essere tradotta in gesti ed atteggiamenti coerenti. Umanamente possiamo parlare di solidarietà, purché sia ormai ben chiaro che essa non è l’espressione saltuaria di stati d’animo generosi, ma l’abito naturale della carità e della giustizia di cui il credente non può spogliarsi senza tradire la propria identità. Portare i pesi gli uni degli altri, fare spazio costantemente al fratello: ciò è possibile solo tramite un cammino spirituale che ci educhi, consapevoli di essere noi per primi peccatori perdonati, a guardare "a tutta la comunità come alla comunione di coloro che il Signore santifica ogni giorno" (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n°65) grazie al sangue della Sua croce. Senza questo cammino, ammonisce Giovanni Paolo II, "a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione" (Novo millennio ineunte).

Nel documento Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, "Ci interroga –scrivono i Vescovi- la connotazione della parrocchia come figura della Chiesa vicina alla vita della gente: come accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente?" Come risposta a tale interrogativo, delineando il programma per questo anno di lavoro pastorale, Don Carlo ha suggerito, durante un momento di adorazione delle recenti Quarantore, che ognuno si impegni a riconoscere e a segnalare le situazioni di solitudine e di indigenza presenti in parrocchia, cosicché la nostra comunità possa adoperarsi per alleviarle. Nessuno deve temere di dare troppo poco. Che si tratti di offrire un po’ di compagnia o di collaborare a qualche necessità materiale, l’unione fa la forza: la mia goccia unita alla tua, alla sua, alla sua…riempirà il bicchiere. L’importante è calarsi in quest’ottica di comunione per la quale il donare gratuito è respiro di vita.

Ciò dovrebbe permetterci di evitare una possibile deriva segnalata dai Vescovi nel documento citato, ovvero "la spinta a fare della parrocchia una comunità autoreferenziale, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti". La chiusura è sempre esiziale. Le difficoltà dei tempi, l’essere ormai minoranza nella società, non aiutano ad uscire dalla sagrestia; ma proprio qui si innesta l’impegno missionario cui la parrocchia è chiamata. Come figura di Chiesa radicata in un luogo essa deve porsi il problema di intercettare i nuovi "luoghi" dell’esperienza umana, così diffusi e dispersi, non dimentica che il suo compito essenziale è quello di proporre e comunicare la fede. Se sarà davvero casa di comunione, la parrocchia potrà diventare anche scuola di comunione, testimone e promotrice di unità ovunque la missione la spinga.