VIVA, VIVA MOSTAR!

di Francesca Citossi

Alla fine di luglio Mostar è un forno. Alle 5 del mattino non si dorme più, è caldissimo e umidissimo, ora buona per le foto. La città è sonnacchiosa, circolano i veicoli militari e la zona rossa è già stata chiusa, dappertutto macchine diplomatiche, funzionari delle Nazioni Unite e personalità che vengono a divertirsi per il week end, bande che suonano marciando di continuo e soldati turchi che vanno a mangiare il pesce nei ristoranti sul fiume, grandi autobus giapponesi bianchi che circolano. Sono aperti i negozi di souvenir, ma le poche persone sedute al bar sembrano indifferenti se non infastidite da quell’invasione, il ponte si vede da lontano, è di un bianco accecante. Oggi è il 23 di luglio e dopo 10 anni dalla sua caduta verrà inaugurato un ponte nuovo, come quello di prima. Come se tornare al "prima" fosse possibile o fosse meglio. Le cerimonie d’inaugurazione cominciano la mattina, proseguono tutto il giorno ma la parte migliore è la sera con musiche, balli, giochi di luci, discorsi ufficiali, fuochi d’artificio, feste dalle terrazze che si affacciano sul fiume, BBC e CNN che riprendono il temporale furioso che sta funestando l’evento, il gotha della diplomazia mondiale oggi è riunito qui. La città è stata tirata a lucido in un massacrante tour de force per apparire bella, pulita e, soprattutto, come prima.

Gli edifici restaurati fuori sono rimasti fatiscenti dentro, i muezzin che chiamano alla preghiera si sgolano per coprire la musica hip hop sparata dagli altoparlanti dall’altra parte della città (sbranata tra Croati e Musulmani) le zone che erano serbe sono rimaste ancora minate e popolate di fantasmi, chi è rientrato vive senza nessun contatto con le altre comunità, se non ricominciano a scannarsi sotto gli occhi di tutti è perché ci sono ancora dei militari, e i fondi per lo sviluppo sarebbero immediatamente tagliati. Serbi di Bosnia, Croati e Musulmani si sono sparati da una finestra all’altra guardandosi negli occhi facendo dei cumuli di bossoli sotto alle finestre del primo piano alti un metro, metà dei palazzi sono scheletri di groviera, i segni delle granate sono sull’asfalto delle strade e nelle facciate rimaste in piedi. Al posto dei mortai che sparavano dalle colline c’è un’immensa croce le cui luci i musulmani hanno preso a sassate. Mostar è una città psicotica, metà degli edifici è da distruggere, l’altra metà è nuova di zecca, dietro c’è la guerra e oggi l’inaugurazione, da una parte gli accordi di pace e dall’altra i profughi che non sono mai riusciti a tornare. Domani ce ne andremo tutti, presto tutto il circo internazionale smobiliterà completamente perché i Balcani sono fuori moda. Se non li guardiamo, forse, non succede niente. Croati e Musulmani rifiutano di incontrarsi nella stessa stanza nelle riunioni municipali.

Tito tenne insieme per decenni un puzzle di popolazioni diverse per tradizioni, cultura e religione (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Kosovo, Vojvodina, Macedonia); morto lui e crollato l’impero sovietico nel 1989 tutto è saltato in aria. Slovenia e Croazia dichiarano l’indipendenza nel 1991 ma interviene l’esercito federale (il governo di Belgrado) e la guerra prima in Croazia (tra Croati e milizie serbe)si sposta in Bosnia nel 1992, prima fra l’esercito federale e i Croati e Musulmani e poi scoppia tra questi ultimi due gruppi dal 1993.

Gli accordi di pace del 1995 sanciscono la nascita della Bosnia Erzegovina come stato unico ma diviso in due entità: una Repubblica Serba (49% del territorio) e una Federazione Croato-Musulmana. Slovenia e Croazia (che ha cacciato tutta la minoranza serba) sono indipendenti e a sud rimane della vecchia Yugoslavia la Federazione tra Serbia e Montenegro. Milosevic è eletto presidente nel 1997 (prima lo era solo della Serbia, dal 1989)e cominciano le violenze da parte dei Serbi in Kosovo (a maggioranza albanese). Dopo i bombardamenti della NATO si giunge ad una cessazione delle ostilità e Milosevic è arrestato nel marzo 2001 accusato di crimini di guerra. Le vittime sono state 15.000 in Croazia, 220.000 in Bosnia Erzegovina, più di 3 milioni i profughi, di cui 700.000 deportati in Kosovo, 6 milioni di mine da distruggere, 150 fosse comuni, 20.000 donne stuprate, 50.000 le persone torturate.

Le ostilità si sono estese anche alla Macedonia, che aveva dichiarato l’indipendenza nel 1991, con circa 63.000 rifugiati. Di fatto sembra che le linee di confine cristallizzino proprio quelle divisioni nazionalistiche che i leader accusati di pulizia etnica stavano perseguendo. Caratteristica di questa guerra è stata la distribuzione a macchia di leopardo delle comunità, quindi enclaves di un gruppo affogate in territorio ostile, cosi le Nazioni Unite tentarono di creare delle zone di sicurezza che venivano puntualmente assediate come Sarajevo, Tuzla, Zepa, Gorazde, Bihac e Srebrenica (musulmana, assediata dai Serbi, le vittime furono 7.000). Il Tribunale Internazionale dell’Aia ha processato 34 persone, ne ha in custodia 42 e 23 sono ricercate.

Milosevic deve rispondere di 66 capi d’accusa fra cui genocidio e crimini contro l’umanità, il processo è cominciato il 12 febbraio 2002.