CED 2007 - Il Magistero del Vescovo

SE UNO NON RINASCE DALL’ALTO

 

di Maria Carla Papi

 

 

Il mistero eucaristico

 

L’essenza di ogni Congresso eucaristico è ripartire dall’Eucaristia per riproporre alle anime la Verità, al di là di ciò che la realtà temporale e storica propone e addita a volte con supponente arroganza.

Se uno non rinasce dall’alto …” non può vedere la realtà.

Quando ci capita di salire su un grattacielo o una torre o sul cocuzzolo di una montagna, la prima cosa che notiamo è che tutto sembra piccolo come un formicaio: le mucche laggiù nella valle sembrano cagnolini appena nati, le auto sembrano il gioco delle micromachines del nipotino, gli esseri umani sembrano formichine brulicanti che corrono apparentemente senza senso, per accaparrarsi l’ultima briciolina.

A chi fa soggezione un mondo così?

Lassù, dal nostro osservatorio privilegiato, ci sentiamo quasi onnipotenti: se stendiamo una mano nell’aria, ci pare di coprire tutto: con un palmo cancelliamo un paese e la natura torna  a trionfare.

Se è vero che l’effetto ottico della distanza e della prospettiva non rende giustizia alle reali dimensioni delle cose, è pur vero però che a livello psicologico tutto ci appare più ridimensionato.

Se sono nel mezzo, mi faccio prendere dal panico, temo di essere schiacciata e, di conseguenza, mi conformo e mi confondo, ma di fatto mi annullo.

Se mi innalzo, se mi distacco evito la confusione e la conformazione: ecco che anch’io vorrei fare la mia tenda e restare là … Ma il Signore ha detto ‘Andate in mezzo a loro …’, andare nel mondo non vuol dire essere del mondo; se la mia anima rimane ancorata a Cristo, se rimane innalzata, sarò capace di vedere le piccolezze del mondo: passeranno i cieli e la terra, solo la Sua Parola non passerà. Come ci ha detto Benedetto XVI essere testimoni di Gesù Cristo, vuol dire appartenergli, e non si può essere testimoni di Gesù Cristo senza ripartire dall’alto del Calvario, dal suo Corpo e dal Suo Sangue dato per noi come cibo di salvezza.

Vediamo cosa dice il Vescovo.

a§b

 

«17. Contemplare il mistero eucaristico significa lasciarci pervadere dalla sua realtà. Adeguare la nostra persona alla sua verità. È impossibile questo sguardo se non è generato dall’udito. Come scrive stupendamente s. Tommaso, «se mi lascio guidare da ciò che vedo o tocco o gusto, io cado nell’inganno. Posso soltanto udire: ma basta a dare sicurezza alla mia fede».

È davvero necessario che recuperiamo interamente il senso del mistero eucaristico non riducendolo alle nostre misure, ma al contrario, estendendo noi alla misura dell’Eucaristia. «Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo? Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra, ha pesato colla stadera le montagne e i colli colla bilancia?». (Cf. Carlo Caffarra, «Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3),  Tommaso, Qq. De Veritate q. 1, a. 2c.; Cf. Col 1,13.)

Quando guardiamo l’Eucaristia viviamo veramente questa esperienza di sproporzione fra chi deve misurare col cavo della mano le acque del mare e calcolare col palmo l’estensione dei cieli? È possibile questa sproporzione perché il cuore umano può essere riempito solo da un amore infinito.

È come se dicessimo: «la mia misura non sono più io stesso, ma sei tu. Imparo da te come sono io; quella è la mia verità e il mio bene».

 

18. Celebrare il mistero eucaristico: è possibile contemplare perché celebriamo. L’Eucaristia la si vede … perché è fatta, cioè celebrata. Tuttavia lo stile della celebrazione nasce dal modo con cui contempliamo il mistero.

La celebrazione è l’atto più grande che la Chiesa possa compiere. Ma la celebrazione – lo sappiamo bene – è esposta continuamente alla banalizzazione, fin dall’inizio. Il primo testo eucaristico prende occasione precisamente da un fatto di banalizzazione. Paolo deve richiamare al senso della serietà dell’Eucaristia e lo fa semplicemente, richiamando il fatto che essa è la cena del Signore, non confrontabile né confondibile con gesti umani di accoglienza, convivenza, convivialità.

26 È un gesto ricevuto in obbedienza, come si dice in tutte le preghiere eucaristiche. «Accettare che il rito dell’Eucaristia ci porti fuori dal nostro mangiare e bere, in un momento di concentrazione di senso, quale l’avvenimento assoluto, definitivo della Pasqua del Signore può rappresentare, questo significa rispettare che l’Eucaristia sia cena del Signore».

La nostra Chiesa ha una grande tradizione liturgico-eucaristica, vivificata dall’indimenticabile card. Giacomo Lercaro.

Non solo dobbiamo conservarla, ma dobbiamo anche promuoverla e arricchirla.

 

19. Adorare il mistero eucaristico. L’adorazione del mistero eucaristico, o visita al Ss. Sacramento, è la continuazione della celebrazione. Se così non fosse, non sarebbe conforme alla grande tradizione liturgica e teologica della Chiesa.

In che senso l’adorazione è la continuazione della celebrazione? Nel senso che quanto accade durante la celebrazione è di una tale grandezza e profondità, che il credente sente come il bisogno di riprendere, di personalizzare maggiormente quanto nella celebrazione ha vissuto come concentrato in un troppo breve spazio di tempo. L’Eucaristia che adoriamo infatti non è un’Eucaristia diversa da quella celebrata.

 

20. Vivere il mistero eucaristico.

È la forma di Cristo che mediante l’Eucaristia si imprime nella nostra persona. «Fate questo», ci ordina il Signore. In senso pieno non è solo un ordine rituale, ma una forza di auto-realizzazione diversa: è il dono del comandamento nuovo.»