VIVIAMO IL CONGRESSO

EUCARISTICO

DIOCESANO

A cura di Massimo Craboledda

 

§         Riti di comunione

 

Ormai prossimi alla solenne conclusione del Congresso Eucaristico Diocesano, completiamo le brevi note di approfondimento sulla liturgia della S. Messa soffermandoci sui riti di Comunione e su quelli conclusivi. Attingeremo ancora agli spunti offerti dal Quaderno n°3 del Congresso (ed. Dehoniane) e all’Ordinamento Generale del Messale Romano.

         Tramite la Comunione i fedeli sono invitati a prendere viva parte all’offerta sacrificale del Signore Gesù: con questo rito la partecipazione raggiunge la sua pienezza e realizza il suo vero significato. La Comunione sacramentale si fonda sul gesto e sulle parole di Gesù che, nell’ultima cena, offrì agli apostoli il pane ed il vino, sui quali aveva pronunciato la benedizione e reso grazie, perché tutti ne mangiassero e ne bevessero. E in un memorabile discorso nella sinagoga di Cafarnao aveva ammonito: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6,53). È, dunque, un invito rivolto a tutti, il che non esime dal tenere bene a mente un’altra Parola, rivelata per mezzo dell’apostolo Paolo: “Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11, 28-29).

         La Comunione è preceduta da un insieme di riti e preghiere che vogliono preparare il fedele all’incontro personale col Signore.

Prima di tutto la recita del Padre nostro, la preghiera insegnata da Gesù stesso, introdotta a questo punto della celebrazione per predisporci a ricevere il Santissimo Sacramento con gli stessi sentimenti che animarono Gesù nel suo rapporto col Padre. In questo spirito domandiamo la glorificazione del nome di Dio, l’avvento del suo regno ed il compimento della sua volontà, chiedendo con ciò che la nostra volontà si conformi alla sua e che la nostra vita sia una manifestazione della sua presenza nel mondo. La Comunione esige la conformazione all’offerta santa del Signore, per compiere quanto Egli ci ha affidato come popolo regale e sacerdotale: la continuazione della sua opera fino al giorno del suo ritorno. Seguono la supplica del pane quotidiano, nel quale è adombrata, anzitutto, l’Eucaristia; la richiesta del perdono, vincolata all’impegno di perdonare a nostra volta per poter ricevere in modo degno il Sacramento dell’unità; la preghiera per essere liberati dalla tentazione e dal male.

Quest’ultima richiesta si prolunga in una preghiera del sacerdote che invoca per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male, dal peccato e da ogni turbamento. Essa viene conclusa dalla dossologia tratta dalla Didaché, proclamata o cantata dall’Assemblea: “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”.

Segue la preghiera per l’unità e la pace della Chiesa, al termine della quale il sacerdote rivolge un augurio e l’invito a scambiare un gesto di comunione fraterna. La collocazione del rito della pace in questo punto della celebrazione indica che la pace vera, che pure postula la volontà sincera e l’impegno dell’uomo, può venire soltanto dall’altare come frutto del sacrificio di Cristo che ha offerto la sua vita come pegno efficace di unità e comunione fra gli uomini.

La triplice invocazione che segue è rivolta al simbolo pasquale per eccellenza, l’Agnello immacolato, a conferma che solo la misericordia di Dio può liberare dal peccato, causa dell’inimicizia, e può ottenere e donare quella pace che il Signore ha trasmesso mediante gli apostoli.

Mentre si canta o si recita l’invocazione all’Agnello, il sacerdote spezza il pane consacrato e ne lascia cadere un frammento nel calice dicendo: “Il Corpo e il Sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna”. Questa breve invocazione trasmette la certezza che il Corpo vivo e santificante del Cristo, unito al Sangue, costituisce un’unità e ci comunica, attraverso il Sacramento, la sua vita immortale. La “frazione” dell’Ostia consacrata, attualizza il gesto che fece Gesù nell’ultima cena. Era un rito giustamente considerato emblematico dalle prime comunità cristiane che chiamavano l’Eucaristia “frazione del pane”. Il pane spezzato e distribuito esprime la realtà che i fedeli, nella comunione con l’unico pane di vita, costituiscono un solo corpo (1Cor 10,17). Gesù non spezzò il pane semplicemente per distribuirlo agli apostoli riuniti con Lui; quel rito, ancor prima che condivisione, esprime sacrificio, immolazione. Spezzando il pane Gesù spezza se stesso, come il servo obbediente che si consegna alla morte per proclamare l’assoluta sovranità di Dio violata dal peccato e operare, così, la riconciliazione. È, dunque, un atto di infinito amore, atto di inconcepibile densità che riassume l’eterno disegno di salvezza: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo…per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 5,7).

Una breve preghiera silenziosa del sacerdote e dei fedeli precede la solenne proclamazione: “Beati gli invitati alla cena del Signore! Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. La risposta dei fedeli esprime la consapevolezza della propria indegnità e, al tempo stesso, la fiducia di essere guariti dalla potenza del Signore. Dopo la distribuzione del pane consacrato, un breve momento di silenzio precede la preghiera dopo la comunione nella quale si invocano i frutti del mistero celebrato.

A questo punto si svolgono i riti conclusivi: il saluto e l’augurio del sacerdote (“Il Signore sia con voi”) e la benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La celebrazione eucaristica, convocata nel nome della SS. Trinità, si conclude evocando ancora la presenza trinitaria perché ci accompagni ora nel cammino che ci attende.

Al congedo, che può essere dato con formule diverse, l’assemblea risponde rendendo grazie a Dio. Questo esprime la profonda gratitudine per il bene immenso che la celebrazione ha donato facendoci partecipi del frutto inesauribile della morte e risurrezione del Signore e consentendoci l’immersione nella vita divina in comunione con Lui.